Alcuni accenni su un popolo eroico (quinta parte-II)
Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda
A questo punto a guidarci lungo gli ultimi due secoli della storia russa dovrebbe esserci, come colonna sonora, l’overture 1812 di Tchaikovsky; facile intuizione dato che gli attacchi dell’occidente, alla Russia, si intensificarono all’indomani della rivoluzione giacobina ed il conseguente terrore napoleonico sparso per tutta Europa. Le divisioni, le cesure, nei rapporti interpersonali ed anche internazionali, scavano fiumi carsici fino a provocare profonde fenditure nei terreni, a volte delle vere e proprie doline. Ecco che, applicate alla cosiddetta geopolitica, scopriamo come i frequenti sconquassi nei rapporti tra oriente ed occidente abbiano provocato fratture sempre più vaste, divaricando le distanze tra i due mondi.
Dunque, alla tremenda faglia del 1055, separazione della cristianità orientale da quella latina, è susseguita quella culturale nei secoli del rinascimento italiano, il quale, sebbene fortemente condizionato proprio dall’elemento bizantino, che in Italia aveva trovato rifugio, (ricordiamo il patrimonio neoplatonico di Gemisto Pletone che tanta influenza esercitò sull’arte michelangiolesca e manieristica in genere), vede proprio in quei secoli XV-XVI l’acuirsi dell’incomprensione tra i figli della romanità. Un cristiano di rito greco non avrebbe mai accettato lo stravolgimento di determinati canoni, e non mi riferisco a quelli estetici.
L’estetica, e i greci l’avevano intuito già secoli prima della venuta di Cristo, era materia concernente il mondo immanente; in altri termini si può accettare il cambiamento nell’acconciatura dei capelli, nella foggia dei mantelli oppure il timbro delle opere teatrali, ma per ciò che concerne il culto degli dei esso doveva, e deve, restare circoscritto entro determinati canoni stabiliti fin dall’alba delle varie comunità. Il cambiamento, e gli elleni l’avevano saggiato sulla propria pelle, aveva affievolito la forza mistica delle immagini per cui dal rigido Apollo, modellato dai padri nella terracotta, si giunse ai virtuosismi plastici che Prassitele scolpiva nel marmo. E la società si sfaldava e non credeva più in quelle statue sempre più umane, i cui nervi parevano vibrare mostrando passioni che gli uomini non riconoscevano più negli dei.
Socrate aveva indicato un nuovo modo per comprendere Dio, un essere supremo che non agisce al modo degli umani, che non può espletare le sue caratteristiche nel tempo perché il suo tempo è eterno: Gli si era avvicinato, più di tutti prima di Socrate e Platone, solo il grande Omero quando faceva smuovere l’intero universo dal battito del ciglio di Giove. Dunque, l’arte sacra necessitava di nuove rappresentazioni che incutessero negli uomini il senso dell’eterno. E come giungervi? La rivelazione cristiana chiuse il ciclo platonico nelle raffigurazioni teistiche, il fondo oro rappresenta il tempo e lo spazio di Dio. Non esiste prospettiva, dunque nessuna scala di valori tra un proscenio e una retroscena. Dal Cristo Pantocrator prende via il tutto, come il primo motore immobile aristotelico.
Per questo campeggia sulla cupola di Aghia Sofia a Costantinopoli. I monaci greci digiunano, abbandonano il mondo immanente per entrare, in modo estatico, a contatto con il trascendente. Al termine di questa prova, senza nessun modello reale dinanzi, preparati in questo dall’Idea platonica, mano ai pennelli prendevano ad eseguire le S. Vergini con Bambino e le varie immagini iconiche. Mentre tutto questo patrimonio veniva accolto con entusiasmo nel granducato di Mosca, poi impero Russo, in Occidente si sceglieva un’altra strada. Pur attingendo agli stessi valori, come detto, gli artisti occidentali optano per la “catabasi” della divinità.
Si incaponiscono nel raffigurare l’umanità di Cristo fino a sfociare, sovente, nell’arianesimo formale, premessa di quello sostanziale! Dato che gli stessi pontefici rinascimentali si comportano come adepti di una divinità pagana al pari delle altre che la riscoperta degli scritti antichi aveva portato in dote nei palazzi. Raffaello, il più grande pittore di tutti i tempi, nelle stanze vaticane alterna splendide fanciulle incarnanti Galatea a S. Pietro in carcere. Ed il Cristo del giudizio universale della cappella sistina?: “Pare un soldato tedesco, gli manca solo la sciabola al fianco”.
Disse Dostojevskyi dopo aver visitato la celebre cappella del conclave; ovviamente, solo un russo poteva giungere a questa conclusione. I russi, e diciamolo francamente, anche noi credenti occidentali, fatichiamo a segnarci con la croce dinanzi ai pur magnifici capolavori del genio italico; troviamo più sacro, e tendiamo a portarvi rispetto, all’icona dipinta con i canoni descritti sopra. Ecco spiegata per sommi capi la seconda frattura, conseguente alla prima, tra i due mondi della romanità. Dopo fu del tutto naturale vedere nell’avvento del giacobinismo l’ulteriore passo per la definitiva eliminazione del trascendente dalla vita pubblica degli europei occidentali.
Quando Napoleone entrò in Mosca sbeffeggiò il popolo russo giudicandolo primitivo perché aveva costruito un numero tale di chiese da superare tutte quelle del resto d’Europa. La tecnica, la scienza, occidentali, avevano permesso alla Russia di poter competere con le potenze occidentali, questo l’aveva capito lo Zar Pietro, ciò che invece non avevano capito gli europei, e ancora oggi non riescono a ficcarselo in testa, è che un conto è introdurre la carrucola o la sega dentata, un altro modificare il rapporto olistico. I russi non potevano rinunciare, per amore di scienza, all’incommensurabile patrimonio che la religione cristiana aveva loro infuso.
Pedissequi dell’ortodossia bizantina, avevano risolto alla radice il rapporto tra fede e ragione evitando le lotte per le investiture; che l’imperatore fosse anche capo della Chiesa non solo era ritenuto normale ma anche incentivato in tale compito, qualora nel Basileus fossero affiorate titubanze nella fede. La sovranità autarchica, presentarsi come spada del Cristo, faceva dell’imperatore di Costantinopoli e poi Mosca il naturale complemento del Patriarca. Le ripartizioni delle funzioni fatte da Montesquieu erano incomprensibili, nonché soggette a severe critiche da parte della classe imperiale russa.
Sconfiggere le armate napoleoniche significava, in definitiva, sconfiggere non solo un nemico invasore ma tutto un mondo votato al transeunte, alla caducità del tempo degli uomini, alla stessa sovranità dell’uomo che scalza Dio. Per il momento, e siamo nel glorioso 1812, il grande assalto del decadente occidente era stato sventato. Purtroppo il veleno destabilizzatore massonico aveva in serbo ancor più vaste sciagure per il popolo russo. La vendetta aveva il nome di bolscevismo….(continua).
Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda
Immagine di copertina e interna tratte da Web.
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