That’s why it’s important to recognise that AI is not just a new form of technology, but a brand new class of capital which automates the ‘last’ parts of humanity: thinking (Henry Innis, vedi bibliografia).

Abbiamo parlato a più riprese di imminente futuro tecnologico dove macchine, più o meno intelligenti, sostituiranno il lavoro umano (in questo testo rammentiamo alcuni dei nostri articoli). Il processo è in atto e ampiamente documentato, l’Intelligenza Artificiale sempre più “umana” prossima ad essere realizzata, le preoccupazioni dal lato tecnico-scientifico abbondantemente espresse. Estremizzando il processo in atto potremmo immaginare un futuro (neppure lontanissimo) in cui tutto il lavoro sarà eseguito da macchine (eventuali marginali eccezioni possono non essere contemplate in questo ragionamento). L’aggettivo in corsivo significa che macchine estrarranno materie prime, da macchine trasportate in fonderie e luoghi di raffinamento e trasformazione, da macchine poi distribuite a fabbriche gestite da macchine. Tali macchine saranno in grado quindi di costruire altre macchine, e grazie all’Intelligenza Artificiale progettarne di migliori, manutenerle, organizzarle. Se siete in grado di fare – a puro titolo ipotetico – questa fantasia, allora siete pronti per il passo successivo, che intende rispondere alla seguente domanda: che tipo di economia sarà?

La domanda è davvero cruciale, anche per le sue conseguenze operative: che economia all’epoca delle macchine? Possiamo tentare un ragionamento a partire dalle idee che abbiamo in merito alla nostra economia, quella attuale. Nel mondo circolano merci e servizi, reali e virtuali, che producono valore aggiunto. È scopo dell’impresa capitalista produrre quel valore che appartiene a chi detiene l’impresa. Ciò vale per gli azionisti Fiat, per le società finanziarie internazionali, per me e per la signora che viene a fare la pulizie (con tutte le semplificazioni del caso; economisti, per favore, non salite in cattedra che al momento non ci serve). Nel nostro mondo di robot, i concetti chiave del capitalismo: valore, capitale, lavoro etc., sono superati, inapplicabili, e quindi il capitalismo stesso non avrà più senso. Conseguentemente, per ragioni che non svilupperò in questo post, anche quello di potere cambierà sostanzialmente. Vorrei precisare che non intendo fare un esercizio futurologico, ma una semplice analisi teoricamente fondata assumendo, come caso di studio, il futuro di macchine sopra rappresentato.

robot-650x406A mio modo di vedere il concetto chiave, che le macchine distruggeranno, è quello di valore delle merci e servizi prodotti. È un concetto complicato e dibattuto da oltre due secoli e mezzo, e non è che qualcuno abbia trovato la soluzione universalmente condivisa alla domanda “da dove nasce il valore delle merci e servizi?”. Mi permettete di semplificare indicando due particolari scuole di pensiero (una sintesi divulgativa nell’Enciclopedia Treccani ma si veda anche l’ottimo Giorgio Lunghini, La teoria economica dominante e le teorie alternative):

  1. il valore è incorporato nelle merci e servizi come lavoro necessario a produrli (Smith, Ricardo, Marx; nuovo avviso agli economisti che ci leggono: sì, lo so che questi autori hanno trattato diversamente la questione);
  2. il valore è risultante dalle scelte di scambio, e in estrema sintesi da quelle dei consumatori (Walras, Marshall, Sraffa, Keynes… e sì, conosco le critiche degli ultimi due alle teorie neoclassiche dei primi).

La prima ipotesi cade immediatamente nel mondo robotico: in una prima fase (quella che stiamo vivendo) la sostituzione di forza lavoro umana con lavoratori meccanici sposta semplicemente alcuni fattori lasciando l’equazione invariata: quelle macchine sono costruite al pari di tutte quelle che fanno parte del capitale fisso dell’azienda; sono “semplicemente” macchine, e il fatto che sostituiscano esseri umani assomiglia abbastanza alla vecchia storia dei telai del ‘700 inglese. Non per caso si parla di tassare il plusvalore generato da questo processo sostitutivo (ne ha parlato di recente Ottonieri su questo blog in più articoli fra i quali questo e questo e, coincidenza interessante, si è espresso in modo analogo addirittura Bill Gates, chissà, forse ha letto Hic Rhodus…). Ma quando le macchine progetteranno e costruiranno le macchine che, a loro volta, produrranno beni e servizi, il valore marginale del lavoro (inteso: umano) in qualunque modo inglobato in queste tecnologie diverrà asintotico, prossimo allo zero, perché tutta la filiera produttiva, dal reperimento dei materiali grezzi fino alla loro trasformazione in beni, e quella distributiva, saranno gestite in forma extra-umane. Sotto questo profilo, quindi, le merci e i servizi offerti avranno un valore prossimo allo zero.

È un pochino più complesso argomentare il secondo punto di vista (teorie neoclassiche; marginalismo; cosiddetto neoliberismo…) anche perché quella neoclassica è diventata un contenitore di teorie in realtà anche contrastanti. Diciamo comunque che l’idea prevalente è l’auto-regolazione del mercato causata dall’utilità dei beni e servizi e dalla (presunta) capacità di scelta del consumatore. La critica monetarista keynesiana non è influente nell’analisi qui condotta che si riduce a questo: in un mondo automatizzato in cui le macchine si autoproducono viene a cadere il concetto stesso di capitale fisso, così come il valore marginale dei beni prodotti, come abbiamo visto sopra; la scelta del consumatore diviene quindi potenzialmente indifferente e non sussisterebbe più la concorrenza fra produttori, né la necessità del denaro come riserva di ricchezza (Keynes). Le merci (e i servizi) sarebbero semplicemente a disposizione ad infinitum o quasi, avendo come unico limite il fatto che la Terra (finché saremo confinati sul nostro pianeta) ha risorse limitate; un limite, comunque, che non potrebbe influenzare particolarmente il quadro economico d’insieme.

Supponendo valide le argomentazioni fin qui brevemente accennate, cosa resta del capitalismo? Se intendiamo questo termine come

sistema economico in cui il capitale è di proprietà privata (sinonimo di ‘economia d’iniziativa privata’ o ‘economia di libero mercato’). Nell’accezione originaria, formulata con intento fortemente critico da pensatori socialisti e poi sviluppata nelle teorie marxiste, sistema economico caratterizzato dall’ampia accumulazione di capitale e dalla scissione di proprietà privata e mezzi di produzione dal lavoro, che è ridotto a lavoro salariato, sfruttato per ricavarne profitto (Enciclopedia Treccani),

capite che non ne rimarrebbe niente; quale proprietà privata, quale accumulazione di capitale, in un mondo di merci senza alcun valore intrinseco? Se ‘capitalismo’ è termine sgradito, per tradizione filosofica e culturale, e preferite ‘neoliberismo’ (Friedman, per intenderci), non cambia nulla:

In cosa consiste questa nuova dottrina? Consiste nella riproposizione del liberismo puro, un “nuovo liberismo” – il neoliberismo appunto – dopo quello visto a inizio Ottocento. Un’ideologia costruita intorno ad un fine e ad un mezzo e con una premessa. La premessa è la “visione” di un mondo ideale in cui domanda, inflazione, disoccupazione funzionano alla stregua di forze naturali. Il mercato – visto come un ecosistema in grado di l’autoregolarsi – avrebbe dato vita all’esatto numero di prodotti al prezzo esattamente adeguato, realizzati da lavoratori che percepivano salari perfettamente sufficienti a comprare quei prodotti: un mondo perfetto di piena occupazione, creatività e, soprattutto, crescita perpetua (Storia Contemporanea).

Non ci sarà più lavoro (lo faranno le macchine) e quindi non disoccupazione come ora intesa, non salari, né ovviamente mercato (nel senso classico). Questo sistema – inclusi il bieco capitalismo finanziario, l’ordoliberismo e ogni schifezza criticabile del sistema economico vigente, inclusi Bilderberg, la Banca Centrale Europea e gli hedge fund – non esisteranno più. Non so dire se ci sarà di peggio, o di meglio, se vivremo nel paradiso post capitalista vagheggiato dal giovane Marx oppure no.

423543_364539546903917_1171117498_nAnche perché la fase di transizione potrebbe essere tremenda. Niente lavoro = niente salario. È per questo che oggi, nella fase di sostituzione del lavoro umano con le macchine, si propongono tassazioni; quei soldi servirebbero allo Stato per garantire forme di sussistenza ai nuovi disoccupati, resi obsoleti dai robot. Ma pian piano diverremo tutti disoccupati, non solo gli operai ma anche molti professionisti quali i medici, baristi, artisti, astronauti… (si legga sempre Ottonieri QUI). Il passaggio di epoca sarà brutale, perché l’aumento delle macchine, tasse o non tasse, produrrà rapidamente eserciti di disoccupati ai quali i vari governi dovranno garantire un reddito; eserciti di industriali falliti da produzioni obsolete; magazzini pieni di prodotti invenduti. Non sarà nel giro di un giorno che ci trasformeremo da lavoratori a pensionati, da capitalisti ad artisti, da operatori in un mercato imperfetto a goditori del mondo automatizzato. Serviranno anni, probabilmente decenni, in cui il nuovo sistema automatizzato (e coloro che lo gestiranno) si sovrapporrà a quello tradizionale. In questo lasso di tempo potremmo assistere a lotte di potere per detenere e governare le macchine, nuova provvisoria fonte di ricchezza; in questo lasso di tempo muteranno governi e comunità; assisteremo forse al collasso di imperi e all’effimero emergere di nuove forme di controllo della società. Difficile sopravvivere nei modi e forme che oggi determinano il nostro ‘vivere’, il nostro intendere il mondo, la nostra comprensione come esseri “umani”.

Fermo qui l’analisi perché – come annunciato – volevo solo sperimentare l’applicabilità dei tradizionali concetti economici (in particolare quello di “valore”) a un’ipotetica e plausibile società futura robotizzata. Le conseguenze sul piano del governo, del potere, della governance di questa trasformazione saranno enormi ma preferisco non trattarne perché l’esercizio diverrebbe eccessivamente futuristico e arbitrario. Ma è difficile pensare che esisteranno, nello stesso modo in cui li conosciamo, nazioni, governi, relazioni economiche. E disuguaglianze. Qui il tema, certo cruciale, confina coll’imponderabile. Come sostengono gli ottimisti, le innovazioni tecnologiche hanno sempre, storicamente, favorito l’occupazione e la ricchezza; ma i pessimisti notano che la prospettiva automatizzata ha caratteristiche nuove e non comparabili. C’è poi una corrente di pensiero che intende combattere la disoccupazione indotta con redditi minimi universalistici, di cui la tassazione ricordata sopra è ovviamente prodromica, ma è chiaro che non può essere questa la soluzione quando la sostituzione dei lavoratori supererà un certo livello. Insomma, credo certo solo che, sviluppandosi il futuro industriale nella maniera assunta come ipotesi, i cambiamenti non saranno facilmente prevedibili e governabili, con conseguenze socialienormi e inedite.

Buona fortuna.

robot-ascentRisorse. Il tema dibattuto (anche in maniera differente da questo post) a livello internazionale:

Punti di vista simili:

Punti di vista differenti:

Ringrazio Alberto Baldissera e Filippo Ottonieri per le puntute critiche che mi hanno reso più cauto nella redazione della versione finale di questo testo, anche se certamente ancora insoddisfacente per mia esclusiva pervicacia.

Tratto da :https://ilsaltodirodi.com/2017/03/17/come-i-robot-distruggeranno-il-capitalismo/