untitledLa crisi arriva tra i 16 ed i 17 anni: ci si sente grandi e le regole vanno strette, la scuola appare pesante e faticosa, noiosa, distaccata dalla realtà, i professori, degli adulti che guadagnano poco e si sgolano in classe per ore, e il lavoro poi, per un giovane è un miraggio, una chimera, i pomeriggi a studiare o non studiare è infondo lo stesso. E’ l’esercito di quei sedicenni che un giorno hanno detto “no” alla scuola. Quei ragazzi che una mattina hanno deciso di non entrare più in classe, di buttare alle ortiche libri, quaderni, interrogazioni, compiti in classi e giudizi. Ma anche le cose belle della scuola: gite, amici, sport. Un numero enorme di giovani lascia la scuola, oltre 3 milioni di studenti, in vent’anni, una fila lunga da Domodossola a Canicattì, causando quello che viene chiamata “dispersione scolastica” o più comunemente “evasione scolastica”. Secondo uno studio di “Tuttoscuola”, l’Italia è maglia nera della dispersione scolastica. Il numero più elevato in Sardegna con il 33%, seguita dalla Campania col 29,2%. Il Nord Ovest ha la stessa dispersione del Sud (25%). Eppure studiare conviene: i disoccupati con la licenza media sono il doppio dei diplomati ed in quadruplo dei laureati, inoltre, lo studio incide sulla salute, riducendo i costi per la sanità, comporta meno criminalità e meno costi per la sicurezza. Le cause dell’abbandono possono essere molteplici, e soprattutto una scelta degli studi superiori poco orientata e seguita, che spesso favorisce il verificarsi di tale fenomeno. L’evasione scolastica è un fenomeno complesso che comprende in sé aspetti diversi e che intessa l’intero contesto scolastico-formativo. Il fenomeno, intreccia due problemi: il soggetto che tende a disperdersi nella società, a trascorrere più ore in strada, diventando un facile bersaglio della criminalità organizzata; e quello relativo al sistema che produce la dispersione. Aspetti soggettivi: si preferisce il lavoro già alla tenera età alla scuola ed aspetti macro-sociali: non è facile convincere le famiglie ed i ragazzi che a scuola vale la pena andarci, che a scuola si cresce, si cambia, si diventa cittadini. Da Nord a Sud, dai quartieri alle città si susseguono le segnalazioni di presidi ai servizi sociali, centinaia di genitori vengono denunciati, specie al Sud, connotando una vera fuga dai banchi di scuola, che a vent’anni, nell’età adulta si ritrova spaesato e senza un titolo di studio. Perché se è vero che i titoli valgono a ben poco non averli significa esserne fuori, diventare invisibili, pronti ad entrare nell’esercito dei “Neet”, quegli oltre due milioni di giovani italiani tra i 15 ed i 29 anni, che non lavorano, non studiano e non hanno formazione. Sono gli esiliati. Gli inoccupati. Gli sfiduciati. C’è chi si aliena davanti al computer oltre 134 mila giovani in più espulsi o autoespulsi dal mondo produttivo.
C´è chi trascorre ore davanti al computer, nello stile degli hikikomori, adolescenti che decidono che il mondo è nella loro camera da letto e nei rapporti virtuali della rete. Oppure ci sono quei giovani che incontri al centro commerciale: passano il tempo guardando le cose, le merci, gli oggetti, ma non spendono, perché i soldi non li hanno, e i pochi a disposizione servono per il cellulare. Non solo i potenziali “neet” tra coloro che abbandonano la scuola, perché il fenomeno interessa anche il nord Italia, regioni da sempre più ricche, dove il lavoro c’è ancora. I teeneger del Nord Est lasciano la scuola per andare in bottega. Vengono ribattezzati come i “fuggitivi più fortunati”, perché chi lascia la scuola senza un paracadute, senza un’ideale del domani rischia la deriva, il branco, rischia di deprimersi, chiudersi, isolarsi. La dispersione scolastica è un urlo straziante e silenzioso al tempo stesso di tanti giovanissimi abituati agli agi e ai comodi, o semplicemente poco stimolati, confinati in una creatività fatta di social network e di tecnologia, ma una creatività non loro, che giorno dopo giorno spegne il loro potenziale, le loro idee personali che si omologano agli altri. Bisogna saper intercettare i segnali prima che sia troppo tardi. La scuola ha bisogno di fondi ma anche di adattarsi alle esigenze dei ragazzi. In alcuni quartieri di Napoli per combattere la dispersione scolastica, gli insegnanti da tempo concordano con i ragazzi programmi di studio più adatti, per stimolarli, per avvicinarli alla scuola. E’ fondamentale ascoltare i ragazzi e coinvolgere i genitori. La scuola deve creare iniziative e progetti: corsi musicali, teatrali, laboratori, rendiamo la scuola un contenitore di vita e non soltanto di nozioni. Bisogna però rafforzare l’impegno contro la dispersione scolastica replicando le azioni positive già avviate e migliorando il rapporto tra le istituzione scolastiche e i servizi sociali, cercando di costruire percorsi comuni con tutti i soggetti esterni che lavorano con la scuola: terzo settore, associazioni, singoli volontari e che passano anche per il coinvolgimento dei genitori e per l’apertura della scuola al territorio circostante. Non è difficile creare una scuola per tutti, c’è bisogno di fare rete, unendo le energie, le forze e le risorse umane e finanziarie.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

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