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Immagine tratta da Web.

Il conte

Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda

Dalle cuspidi di antichi monti, sbriciolate dalla millenaria erosione, si è formato un altipiano di detriti che fanno da letto alle rimanenti vette. Intorno a queste l’operato degli uomini ha ricavato un sentiero che si inerpica su ciò che resta del complesso roccioso di Bahistun. Questo luogo situato a 525 km a ovest di Teheran, ritenuto sacro per gli antichi sovrani di Persia, suscitò facili suggestioni negli uomini europei dell’800 i quali, animati all’epoca dalla fiorente espansione scientifica e romantica, si spinsero su questi ed altri luoghi al limite dell’accessibilità pur di soddisfare la domanda delle domande: Chi siamo, e da dove veniamo. Intorno alla metà di questo secolo, fatidico per il progresso, a percorrere simile sentiero polveroso, seguendo le ombre del conquistatore Alessandro, vi fu anche l’ambasciatore di Francia, il conte Joseph Arthur De Gobineau che qui, ai piedi delle rocche naturali di Bahistun, non solo esaudì le personali curiosità intellettuali ma addirittura vi ricevette la sua illuminazione.

Fu coadiuvato in questo percorso di “illuminazione” dal fatto di avere al suo seguito, nella spedizione, alcuni studiosi, anch’essi ovviamente europei, dediti allo studio di quei caratteri cuneiformi con i quali risultava scritta una lingua che, come per il geroglifico egizio, era stata riscoperta più o meno negli stessi anni. Nello specifico, per ciò che riguarda le iscrizioni di Bahistun, il merito di aver compreso cosa ci fosse scritto va dato a Henry Rawlinson, un ufficiale della Compagnia Inglese delle Indie Orientali assegnato allo Scià di Persia e che, per l’appunto, nell’anno 1835 ne effettuò la codificazione. Alcuni anni dopo, dicevamo, si inerpicava sugli stessi accidentati sentieri lambenti vertiginosi burroni, il suddetto conte con le sue guide e amici. Ciò che comprese il De Gubineau, in più rispetto allo studioso inglese, fu il senso profondo, il significato recondito di quelle iscrizioni.

Particolare che rasentava la sindrome di Stendhal si dimostrò la lettura della firma di chi aveva fatto scolpire quelle rocce; si trattava del sovrano persiano della famiglia achemenide, nientemeno che Dario I, il quale aveva fatto incidere la seguente frase: “Io Dario, il gran re, ario di stirpe aria”. Il conte, spossato dalla fatica come il profeta di un mondo nuovo sottoposto da Dio alle tipiche fatiche che forgiano i rivelatori, (premonitore del letterario Zarathustra), sconvolto dall’iscrizione lascia a noi posteri queste considerazioni: “Mentre atterrisce lo spirito, questa sciagura riserva qualcosa di così misterioso e grandioso, che il pensiero non si stanca di considerarla, di studiarla, di rivolgersi attorno al suo segreto”. E’ chiaro che siamo di fronte a un uomo che prova forti sensazioni, gli si disvela una nuova concezione del mondo e della storia delle genti. Ma cos’è questa sciagura di cui parla? Per la prima volta si tenta di associare temi legati alla spiritualità dei popoli, spiritualità intesa come stratificazione culturale che crea l’anima di una nazione, con le implicazioni di carattere biologico. D’altronde era naturale che si sarebbe finiti a questo modo.

La contemporanea ricerca darwiniana, nello stesso periodo, stravolgeva concezioni millenarie; si passava dal creazionismo all’evoluzionismo, il che implicava la conseguente lotta tra le specie per l’affermazione su questo mondo. Simile rivoluzione aveva instillato nella classe intellettuale più evoluta del globo, che era quella europea, la convinzione che lo stesso fosse accaduto anche fra le genti umane. Infatti, prima di Darwin la superiorità culturale, che comunque s’era dimostrata sempre appannaggio degli europei, rientrava nelle categorie dello spirito. Secondo il grande magistero antico romano e cristiano tutto si riduceva all’educazione dei popoli meno civilizzati, perché il mondo classico riconosceva in tutti gli uomini la capacità di poter elevarsi allo stesso livello dei colonizzatori; dopo l’illuminismo, il positivismo, il darwinismo, ciò divenne inconcepibile: il razzismo biologico era ufficialmente entrato nella storia e, sia ben chiaro, divenne patrimonio delle potenze democratiche liberali anglosassoni.

Per la prima volta si cominciò a pensare che determinate popolazioni non potessero svolgere la scalata della civilizzazione perché irrimediabilmente compromesse da un loro deficit biologico. La Constitutio Antoniniana, cittadinanza a tutti i sudditi liberi dell’impero romano, in quel XIX secolo divenne non solo inapplicabile ma nemmeno concepibile. De Gobineau si precipitò, in seguito alle turbe ricevute sui monti di Bahistun, ad abbozzare le prime righe del suo lavoro letterario capitale: “Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane”. Si chiedeva, in quelle pagine, come mai vedesse affollarsi per le vie di Teheran un turba di fellah dove c’erano un tempo i dominatori ariani dell’Asia? A suo dire, l’angoscia suprema era da addebitarsi alla mescolanza di sangue dei conquistatori con i dominati, da cui derivava il conseguente depauperamento dei valori biologici e spirituali che nel corso di secoli, se non anni, aveva portato alla fine della stirpe dei dominatori e, naturalmente, della civiltà che portavano.

Celebre la sua lapidaria considerazione, sempre estrapolata dal suo saggio capitale: “Io mi credo ora provvisto di tutto il necessario per risolvere il problema della vita e della morte dei popoli, e dico che un popolo non morrebbe mai se restasse eternamente costituito delle medesime componenti etniche. Se l’Impero di Dario avesse ancora potuto mettere in linea, alla battaglia di Arbela, dei veri Persiani, dei veri Ariani, se i Romani del Basso Impero avessero avuto un Senato ed un esercito formati da elementi etnici simili a quelli che esistevano al tempo dei Fabii, i loro dominii non avrebbero avuto fine, e finché avessero conservato la stessa integrità di sangue, Persiani e Romani avrebbero vinto e regnato”.

Al di là del razzismo, che non tange minimamente chi scrive, sia chiaro! Queste considerazioni, dato l’attuale rischio dissoluzione dei popoli europei, credo meritino una riflessione seria, senza isterismi di parte. Dopotutto è palese e oggettivo vedere nella fusione di genti la creazione di un altro mondo rispetto al precedente. I popoli si formano in seguito a sinecismi, a migrazioni, a guerre… e gli equilibri, le stabilizzazioni, si raggiungono dopo secoli se non millenni, sempre nel caso si raggiungano. Basti vedere cosa accade in Egitto a quella che oggi è la perseguitata minoranza copta, e che in passato formava la popolazione del glorioso primo Stato Unitario della storia umana, il regno dei Faraoni.

Gli esperimenti sociali che piacciono ai sinistri liberal, ai papi dal neo-rito argentino e ai banchieri di tutto il mondo, fatti a colpi di milioni di africani portati, in violazione della sovranità territoriale italiana, dalle o.n.g., a cui seguono ius soli e integrazioni alla “ognuno faccia quello che vuole” perché altrimenti si offendono i diritti dello straniero, non potranno mai approdare alla formazione di nuove civiltà. L’unica cosa che ne può venir fuori è la creazione di ghetti in perenne lotta “evoluzionistica” tra loro, ed è già così nelle grandi città d’Europa. Gli unici a trarre beneficio dal caos multietnico saranno i soliti benestanti economici; quelli che abitano, e si concentreranno sempre più, nei “mondi a parte”. Enclave territoriali protette da polizie private, cosi come sono private fin da adesso le scuole, l’energia, il trasporto e servizi vari di codesti determinati quartieri della “superclasse”. Cancellato il razzismo biologico del XIX secolo, si è ripresentato solito razzismo, quello dei redditi.

Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda