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Ferma al semaforo, sposta la borsa della spesa da una mano all’altra. Si ravvia i capelli scompigliati dal vento e increspati dall’umidità, sistema l’ombrello che le sta scivolando dall’incavo tra il collo e la spalla. Stringendosi nella sciarpa, inclina l’ombrello all’indietro e alza lo sguardo verso il cielo: la pioggerellina autunnale non dà tregua, il cielo plumbeo lascia intendere che potrebbe piovere per giorni, per mesi, forse per sempre. Pesanti nuvole grigie gonfie di pioggia viaggiano veloci in direzione delle montagne, il vento gelido sferza i palazzi, il parco e i passanti.

Si guarda in giro.

L’anziana signora di fianco sta borbottando qualcosa contro i prezzi della verdura. L’eleganza senza tempo della camicia grigia abbottonata fino al collo, del cardigan verde stretto in vita e della gonna di lana cotta grigia, della medesima tonalità della camicia, è strattonata dalle scarpe con i lacci. Scarpe brutte, ma comode, le calzature tipiche di chi teme di scivolare nei sottoportici sferzati dalla pioggia e dal vento. Le scarpe le ricordano la nonna con la quale parla tutte le sere, sebbene sia morta da quasi due anni.

Dall’altro lato della strada due adolescenti ascoltano musica da gigantesce cuffie wi-fi in parte nascoste dai berretti di lana, unica protezione contro il mal tempo. Ridacchiano e parlano ad alta voce, gli zaini che pendono dalle spalle magre. I jeans strappati, i giubbotti informi aperti sulle camicie scozzesi rosse e le grandi scarpe le fanno supporre che siano skaters. Li immagina volteggiare sulle loro tavole nel parco all’angolo. Anche lei, una vita fa, non usava l’ombrello, preferiva bagnarsi tutta mentre tornava da scuola. I capelli diventavano lunghi fusilli biondi che le cadevano scompigliati sulla schiena e lei si sentiva stranamente carina.

I fanali delle auto si riflettono nelle pozzanghere, piccoli soli pallidi che fremono per partire. I conducenti scrivono al telefono, oscillano la testa al ritmo di una qualche canzone passata alla radio, parlano con i figli seduti sui sedili posteriori guardandoli dallo specchietto retrovisore.

Le foglie gialle vengono rapidamente trascinate al suolo dal vento e dalla pioggia: un tappeto morbido e colorato che ravviva l’asfalto scuro e granuloso.

Il semaforo è ancora rosso, un’attesa lunga una vita come il suo sogno congelato in un eterno istante. Da anni ormai il suo unico desiderio è sentire la figlia parlare. Immagina la sua voce: un po’ arrugginita, gialla come le foglie sull’asfalto, ma perfetta nella sua completa immaturità.

Le automobili iniziano a rallentare, un motorino accelera e centra una pozzanghera alzando una bassa onda di acqua fangosa.

Controlla nuovamente il semaforo. Allo scattare del verde, inizia cautamente ad attraversare: la schiena leggermente piegata in avanti, a metà strada fa una corsetta per trovare riparo nei portici dove scaramanticamente chiude l’ombrello. Guarda distrattamente le vetrine, mentre ripensa alla signora anziana e ai due adolescenti: il passato ed il futuro, ciò che è stato e ciò che sarà. Il passato non è più nelle sue mani, ma il futuro è plastico, lo può costruire giorno per giorno. Se solo non fosse sempre così stanca, se solo la figlia facesse qualche progresso importante, se solo il figlio non fosse così coscienzioso e maturo per la sua età. Se, se, se… La nonna diceva sempre: «Con i se e con i ma la storia non si fa». Conosceva un sacco di proverbi la nonna e alcuni suoi modi di dire erano diventati dei veri e propri aforismi famigliari: «Anche sulla nuda roccia cresce un tenero fiore», «San Luigi diceva sempre che non avrebbe mai voluto tornare bambino per non soffrire più la sete», «Non ci si deve mai arrabbiare con il cibo». Saggezza popolare di chi aveva sofferto la fame durante la guerra. Istintivamente si porta la mano al collo e tocca la collana che la nonna le aveva regalato il giorno del suo matrimonio, un gesto pieno di amore che gliela fa sentire vicina. Da quando è morta, porta sempre con sé il gioiello, non lo toglie mai, un talismano contro la paura e la solitudine che spesso le stringono il cuore in una morsa gelida.

Si sofferma a guardare i confetti disposti nelle argenterie di un negozio la cui insegna vezzosa dice “Bomboniere, argenti e confetti”. Un piccolo Pinocchio lucido, gli occhi verdi ed il naso impertinente, la fissa con insolenza. Lei contraccambia con aria aggressiva, sposta lo sguardo su uno specchio ovale dalla cornice cesellata e vi vede riflessa una donna che non conosce. Ci mette qualche secondo a capire che quella riflessa è lei stessa. Quando è successo che è diventata una donna di mezza età? Chi lo ha permesso?

Sorride amaramente allo specchio mentre si studia senza pietà. I capelli ricci resi crespi dalla pioggia avrebbero bisogno di un buon taglio e di essere tinti: la ricrescita grigia urla al mondo che non solo è invecchiata precocemente, ma non ha nemmeno il tempo di prendersi cura di se stessa. Una piccola gobba sul naso, ricordo di uno scontro con lo stipite della porta, le fa pendere gli occhiali a sinistra. Gli occhi sono chiari, resi più grigi dalla giornata, ma spenti. La bocca, un tempo sempre sorridente, è imbronciata e circondata da profondi segni di espressione, fratelli dei due che le spuntano tra le sopracciglia ogni volta che si fa pensierosa. Sorride a denti stretti, perché non le piacciono, li ha sempre odiati quei denti grandi e storti, e in fondo che c’è da sorridere nella sua vita? La figlia ha sette anni ormai, non parla, chiusa in un mondo che spesso la rende irraggiungibile, il figlio sta crescendo da solo e si fa carico dei problemi della sorella, il marito è spesso fuori casa. Una vita fatta di lunghe giornate passate in automobile per portare la figlia ad abilitazione e di fine settimana chiusi in casa aspettando un raggio di sole che non arriva mai.

Si dà un ultimo sguardo, fa una linguaccia alla propria immagine e riprende a passeggiare. Sposta nuovamente la borsa della spesa e sistema l’ombrello al braccio pensando alla cena: un tempo le piaceva molto cucinare per la famiglia, aveva l’impressione che riempire lo stomaco dei suoi cari fosse un modo per saziare anche la loro anima, ma ora non è più così. Ogni pasto è una battaglia fatta di urla, richiami, inseguimenti. La bambina è così rigida che mangia sempre le stesse cose, fatte sempre alla stessa maniera. Il tonno deve essere rigorosamente di una certa marca, la brioche si può acquistare solo in un bar, la pizza espressamente con i würstel… Scuote la testa pensando a tutte le volte che ha dovuto preparare le lasagne a casa propria con la figlia di fianco per portarle a casa della madre: la piccola è diffidente, rigida e ogni piccola diversità olfattiva o gustativa può scatenare una crisi. Lei soffre da impazzire quando la bambina si batte in testa, le mani strette in piccoli pugni, gli occhi pieni di lacrime e quell’urlo di rabbia, dolore, frustrazione… A volte si sveglia nel cuore della notte con quel grido nella mente e si sente impotente, inadeguata, una fallita.

Un’immagine all’improvviso si fa largo tra i suoi tristi pensieri. Si ferma, gira rapida su se stessa e torna sui suoi passi. Questa volta evita lo specchio, non incrocia quello sguardo triste che non riconosce come suo. Si convince che lo specchio è rotto: lei non è così, è lui che rimanda un’immagine fallace. Lei non è triste, lei è la roccia di famiglia. Spesso si sente Atlante, porta un peso enorme sulla schiena, tanto da affermare ironicamente che le sue ernie sono dovute al peso del mondo che ogni giorno porta sulle spalle.

Procede rapida, l’immagine fissata nella retina, è sicura di aver colto un bagliore rosso. È nuovamente al semaforo. Abbassa lo sguardo ed eccolo lì, il suo rosso: a terra, vicino allo scolo, c’è una piantina che lotta contro la pioggia, contro il freddo. Una piccola resiliente che combatte contro le difficoltà del mondo.

La guarda sorridendo, si tocca la collana e mormora: «Nonna, hai ragione! Anche sulla nuda roccia cresce un tenero fiore e se lui lotta e resiste, anch’io ce la posso fare.»

Entra nel supermercato in cui poco prima, o forse una vita fa, ha fatto spesa ed acquista un vaso e del terriccio. Torna rapidamente dalla sua nuova amica, si accovaccia, estrae delicatamente la piantina dall’asfalto e la depone nel vaso con il terriccio: la porterà a casa e la metterà sul davanzale della cucina, così tutti i giorni la pianta le ricorderà che, anche quando le cose sembrano andare davvero male, nulla è definitivamente perduto.

Si alza, raccoglie le borse, l’ombrello ed il vaso e si dirige verso il parcheggio canticchiando stonata:

«Questa è la mia vita, Se ho bisogno te lo dico, Sono io che guido,

Io che vado fuori strada, Sempre io che pago,

Non è mai successo che pagassero per me…» 1

Ha smesso di piovere. Dietro le nuvole grigie il sole sta tramontando in un fugace lampo rosso scarlatto.


1 Ligabue, “Questa è la mia vita”

via Il rosso — THE PRINCESS AND THE AUTISM