La quarta strada

Tratto da:Onda Lucana® by Ivan Larotonda

In tempo di elezioni si parla inevitabilmente anche di questioni economiche, anzi, sono la priorità assoluta, soprattutto da quando i mercati si sono sostituiti agli stati nazionali come dirigenti delle società. E dunque ritornano le solite ricette, a dire il vero solo una: il liberismo. Era meglio quando da piccoli ascoltavamo il fervore dei deputati comunisti, quando descrivevano la forza dell’economia di Stato, che avrebbe impedito la nascita dei monopoli privati e garantito al contempo la distribuzione equa delle ricchezze a tutta la popolazione. A questi rispondevano i missini i quali erano fondamentalmente d’accordo per ciò che concerne il cosiddetto stato sociale, ma aborrivano l’idea che tutto dovesse dipendere esclusivamente dall’iniziativa statale.

L’uomo della destra sociale ha sempre giudicato la proprietà privata come sacrosanta, erede della libertas del bonus vir di ciceroniana memoria. Entrambe le formazioni risultavano tuttavia, almeno sul piano economico, meno distanti di quanto lo siano state nei confronti della terza strada, oggi prima e unica, totalitaria peggio delle altre due, per l’appunto il già citato liberismo. Nato nel mondo anglosassone protestante, assieme a Lutero e Calvino, si è propagato inondando le praterie del Nord America assieme ai coloni che richiedevano perciò un grado di libertà sempre maggiore fino a credere lo Stato una fastidiosa sovrastruttura che lungi dal proteggere i popoli, ne provocava il collasso economico. Dapprima l’Inghilterra, dominando un terzo delle terre emerse, e in seguito gli Stati Uniti, vincendo la seconda guerra mondiale e di fatto ereditando l’impero da sua maestà britannica, hanno monopolizzato tutti i sistemi economici dell’occidente, decretando, a via di sanzioni e bombardamenti, il tramonto degli altri due sistemi economici. Imperando il solo mercato, misura dell’uomo, (mi tocca pure dar ragione a Protagora, almeno in campo economico) si è stabilita la pax americana? Almeno in Europa pare proprio di sì, siamo tutti bottegai alla ricerca del “profitto assoluto” ossia produrre con salari sempre più bassi fino a sostituire del tutto quel fastidioso essere che si interpone come bastone tra le ruote dentate della produzione: l’uomo.

E invece, proprio quando si intravede il baratro una speranza sorge a Oriente, come il sole nascente; d’altronde il Salvatore del mondo, Gesù Cristo, giunse da quell’angolo di mondo. In questo caso, l’oriente a cui ci riferiamo è rappresentato dalle economie emergenti cinesi e russe. In questi luoghi, beati loro, Kant non è arrivato se non in forma lieve, come un influenza stagionale. Sconfitte anche loro dalla potenza del capitalismo occidentale, fin dalla fine del secolo scorso hanno cominciato la risalita, ed oggi consumano la loro vendetta. Mentre noi cerchiamo fascisti col lanternino, come Diogene cercava l’uomo, le due grandi potenze orientali hanno messo a punto la quarta strada economica, la quale non sarebbe altro che una rivisitazione dell’economia sociale, laddove i privati godono dei diritti di uno stato liberale ma con forte controllo che può provenire solo da un efficiente Stato Nazionale. In pratica è qualcosa che somiglia molto alle esperienze economiche dei regimi fascisti degli anni ’30, la terza strada di cui parlava Mussolini. In realtà è qualcosa che è presente nei popoli orientali, i quali non l’hanno mai abbandonata del tutto. In Cina si rifà addirittura agli insegnamenti di Confucio. Di cosa si tratta allora, quale sarebbe la ricetta vincente? La tradizione, il che vuol dire fare semplicemente al modo dei padri.

Sostenere con tutte le forze la produzione nazionale, legarla al proprio territorio, comprare fuori solo ciò che non si riesce a produrre, come un tipo di coltivazione che non cresce in determinati ambienti. La via della seta che stanno costruendo i cinesi, e che attraverserà anche i territori della Federazione Russa, portando indiscusso giovamento anche agli ex sudditi degli Zar, (perché pure questi la utilizzeranno per espandere la loro produzione), è solo uno strumento di forza per chi esporta, il terminale, in questo caso l’Europa, se non sarà in grado di ricostituirsi un suo dominio territoriale, a carattere nazionale! Potrà solo continuare a subire il salasso di produzione e salari bassi per i pochi che ancora lavoreranno in quest’angolo di mondo. E’ ora di svegliarsi, i padri chiamano, abbandoniamo gli esperimenti anglosassoni, quelli erano buoni per loro, che esportavano, come per oggi i cinesi, torniamo a lavorare, a produrre tutto perché un tempo lo facevamo, e non avremo nemmeno il cruccio oraziano di sapere da dove ricavavano la seta i cinesi, perché oggi lo sappiamo. Al di là delle battute, è davvero frustrante vedere che le nostre aziende, che facevano le cose più belle e funzionali, oggi sono ridotte a sub indotti di non si sa che diavolo di impresa posta ai confini del mondo.

Noi non siamo professoroni, d’istinto crediamo utile reintrodurre i dazi doganali, però il passato insegna che ha funzionato. Potremmo chiudere, perché i muri non sono poi così brutti. La civitas si contraddistingue per la sua cinta turrita, è stata creata grazie alle recinzioni-protezioni, l’iconografia nazionale si presenta così; e poi decenni di ponti non mi sembra che abbiano migliorato le cose. Se registriamo un pauroso deficit demografico e il crollo della ricchezza collettiva vuol dire che anche il liberismo ha fallito. Torniamo alla tradizione pure noi, finché siamo in tempo.

Tratto da:Onda Lucana® by Ivan Larotonda

Si ringrazia l’autore per la cortese concessione-Foto di copertina  fornita tratta da Web.