
Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda
“Parenti” serpenti
Diciamolo con franchezza (e visto di chi parleremo è quanto mai appropriato tale aggettivo) i nostri vicini di casa, coloro che abitano oltre le Alpi Cozie e Graie, sono antipatici oltre ogni misura. L’arroganza delle genti galliche non ha limiti, soprattutto per via della sedicente superiorità che mostrano nei confronti dei “cugini” italiani; e al proposito vorrei sapere perché saremmo cugini di quelli lassù. Comunque, lasciando da parte presunte parentele veniamo ai dati oggettivi che confermano, in questo periodo, la secolare arroganza dei transalpini nei confronti di tutto ciò che proviene dall’Italia. L’ennesimo presidente della repubblica francese, massonica per antonomasia, si sta prodigando e meglio dei suoi predecessori Hollande e Sarkozy, nell’eliminare dalla scena politica nordafricana quel poco che era rimasto degli interessi italiani.
Gioco facile quando si ha a che fare con la pochezza diplomatica della seconda repubblica italiana, non solo, quella testa Macron di Attali ha rincarato la dose mettendo in discussione il controllo dei cantieri navali di Saint Nazaire, nella Loira atlantica, che erano stati precedentemente assegnati all’italiana Fincantieri, vincitrice dell’appalto. E’ chiaro ed evidente, anche a noi che siamo lontani dagli avvenimenti, come anche questo affare rientri nell’operazione africana: ai francesi fanno gola, e non da ora, le immense risorse minerarie del sottosuolo libico che l’accordo concluso da Berlusconi e Gheddafi garantiva all’italiana ENI. La guerra contro il colonnello ed il suo clan ha devastato la Libia, certo, ma era commercialmente rivolta contro l’Italia, rea, agli occhi delle campionesse di “democrazia liberale”, Francia e Inghilterra, di voler ricavarsi, ancora una volta, un posto al sole.
Non siamo in vena di revanscismi, quelli lasciamoli ai francesi, che sono ancora incazzati per essere stati sotto dominio romano per 600 anni, chiediamoci piuttosto per quale motivo i transalpini mostrino la propensione a fare tabula rasa intorno al pentagono francofono; un atteggiamento deleterio per loro stessi dato che, incapaci come sono di rendere partecipi i loro alleati, alla fine soccombono sotto il peso della loro tracotanza. Infatti, non si spiega per quale motivo insistano tanto a voler cacciarci dalla Libia; in fondo il fabbisogno energetico francese è ben compensato dai 58 reattori nucleari di cui dispone la Republique. Non si vede tutta questa necessità di accaparrarsi un territorio che per loro è oggettivamente secondario, allorquando la TOTAL trivella dappertutto nei territori dell’ex impero coloniale francese, che tanto ex in fondo non lo è; senza dimenticare che è presente anche in Italia, in Lucania.
A questo punto è lecito porsi delle riflessioni come questa: L’esercito francese, che per volere del ridanciano Sarkozy e del pony express Hollande, si è insediato negli stati dell’Africa Occidentale, dal Niger al Mali, dal Camerun al Senegal e fino al Ciad, ufficialmente per combattere il terrorismo, in realtà controllano anche i luoghi di assembramento dei cosiddetti “migranti” e le piste del deserto percorse giornalmente da migliaia di questi. Ergo, direbbero coloro che ne sanno più di me: Ma sti soldati dell’armee i “migranti” africani li controllano o li guidano verso una Libia che loro stessi hanno distrutto? Che tutto questo, l’invasione dell’Italia, non sia altro che un’arma per costringere la nostra nazione a cedere i giacimenti libici?
Vuoi vedere che se lasciamo ai francesi il controllo “total” del petrolio delle sirti qui non sbarca più nessuno? Supposizioni, sia chiaro, noi siamo, lo ripeto, lontani anni luce dai centri di potere, non possiamo che formulare delle ipotesi. Ma certo sono meno cervellotiche degli atteggiamenti usuali, direi storici dei francesi. Si evince infatti, guardando a ritroso nei secoli, nel comportamento degli intellettuali d’oltralpe, la pretestuosa vis polemica contro la latinità che pure impregna tutto il mondo transalpino.
Sono teneramente comiche le “gesta” dei giuristi dell’epoca di Filippo il Bello (uno degno dei presidenti attuali, si direbbe il capo di stato francese tipo) nella fattispecie un certo Jean Quidort, in Italia noto come Giovanni da Parigi; domenicano, ma al servizio del suo re, per cui in polemica con il papato visto già come potere italiano sull’Europa, non dunque come ente sovranazionale, ecumenico. Nel suo De potestate regia et papali si inserì nella logomachia che interessava gli aristotelici e gli agostiniani; i primi pro Stato, dunque umanità, i secondi pro Pietro, dunque in favore di Dio. Cercando di trovare armonia nelle due istituzioni è riuscito ad inserire il curioso commento riguardante la situazione particolare di cui godrebbero i francesi.
A dire di Giovanni da Parigi: Poiché i franchi sono arrivati dopo la fine dell’Impero romano, non sono mai stati soggetti al dominio dell’Urbe, per cui non devono ora (parliamo del ‘300) piegarsi alla teocrazia proveniente dal Tevere. Non voglio che questo intervento sia incentrato sulla polemica con un monaco francese del quattordicesimo secolo, gli interventi del 118 serbiamoli per cose più serie. Ne ho fatto cenno perché è esemplare della mentalità gallica, e ripeto gallica, perché comunque è un esercizio utile dire anche qualcosa riguardo alle antiche frustrazioni che serbano in cor li franzesi. Dunque, pur di sottrarsi ai debiti contratti col mondo romano, latino, italico, i francesi sono disposti addirittura ad abiurare alle loro origini!
Infatti, ad onor del vero, i franchi risultano dall’unificazione di antiche tribù germaniche che vivevano in uno stato di seminomadismo nelle regioni tra il basso Reno e l’Elba, parliamo dunque di quel territorio che i romani avevano denominato Germania pacata; ossia fuori del limes ma comunque soggetta a Roma, la quale sceglieva i sovrani locali a lei comodi, che spesso vi operava coi propri eserciti per evitare la formazione di coalizioni di tribù: insomma, un dominio paragonabile a quello statunitense sull’odierna Europa. Dunque, con buona pace per Giovanni da Parigi, pure i suoi franchi erano soggetti ai capitolini, ma c’è di più: Gli stessi franchi, quando si mossero alla conquista della Gallia, erano la minoranza rispetto anche alle altre genti germaniche, quali i burgundi e gli alamanni, che pure avevano intrapreso lo stesso cammino. I franchi furono semplicemente più abili ad imporsi sui rivali, e lentamente costruirono il loro dominio, ma in realtà l’assetto etnico non fu modificato poi tanto, dato che gli invasori non superavano il decimo dell’intera popolazione di Gallia.
Oggigiorno invece, forse resisi conto che di franco hanno solo il nome, gli storicisti francesi tendono a recuperare il contatto coi loro veri antenati, le genti celtiche (il celtismo è una moda in vigore tra quelli che ne sanno poco o niente di antiche cronache) ma lo fanno sempre a modo loro. Un altro esempio: Recentemente è stato trasmesso dalla nostra Tv pubblica un documentario francese nel quale si sosteneva che i galli parisii coniavano monete ben prima dell’arrivo dei romani. Lo storico locale mostrava orgoglioso, in favore di telecamera, una di queste monete: su una delle facce c’era impressa una croce! In realtà era evidente, e non solo ai più esperti, che si trattava di un obolo d’età capetingia, parliamo del X secolo d.C.! A questo punto credo che la storia retroattiva sia una materia antitaliana studiata negli atenei francesi.
Eppure era questa la patria di Pierre Grimal, grande studioso della romanità, un vero, nobile maestro per chi scrive; grazie ai suoi lavori ho potuto conoscere l’anima del mondo classico, di come un villaggio di pastori situato sul Tevere abbia dato le leggi alle genti più disparate e selvagge; unificandole all’ombra degli allori dei cesari le ha chiamate a costruire insieme il mondo dell’altruismo, la communis patria umana. Altro che i bottegai egoisti del nostro tempo, dove tutto è nella forma Macron, ma nella sostanza micron.
Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda
Si ringrazia l’autore per la cortese concessione.Immagine tratta da Web.
L’ha ribloggato su Pina Chidichimo.