Perché eleggere il premier non è una buona idea

Tratto da:Onda Lucana® by Marco Di Geronimo

E se eleggessimo noi il Presidente del Consiglio? Da anni il popolo italiano lamenta la mancanza di rappresentatività delle proprie istituzioni. E ha tutte le ragioni per mostrarsi scontento di chi lo governa. Oltre che di infastidirsi per non riuscire a controllarlo. Eppure, scegliere direttamente chi ricoprirà la posizione di maggior potere del Paese non è la decisione migliore.

Mario Pepe, deputato del PDL, anni addietro presentò un disegno di legge costituzionale col quale suggeriva l’elezione diretta del premier. La proposta di Pepe assomigliava a tratti con la forma di governo che caratterizza i Comuni e le Regioni: elezione contestuale del legislativo e del vertice dell’esecutivo.

In realtà il DDL Pepe non prevedeva il rapporto fiduciario tra le Camere e il Governo: nel caso in cui il premier avesse ritenuto impossibile «attuare il proprio programma», si sarebbe dovuto dimettere, chiedendo di tornare a nuove elezioni. Una specie di nuova forma di presidenzialismo, visto che la mancanza di legame formale tra legislativo ed esecutivo impedisce anche di parlare di neoparlamentarismo (l’assetto di potere che invece regola Regioni e Comuni).

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Ma a ben guardare l’elezione diretta del vertice dell’esecutivo funziona poco. È stata introdotta negli anni Novanta a livello territoriale e non per forza ha garantito stabilità. Anzi, l’inamovibilità del «capo» della Giunta spesso esacerba gli scontri tra le assemblee e le giunte.

Abbiamo visto come l’inamovibilità del Presidente impedisce al sistema francese di rimuovere i governanti fallimentari. Cosa che viceversa si rivela più semplice nei sistemi parlamentari. E se l’Italia si autoattribuisce la qualifica di Paese instabile, non si può dire lo stesso per Germania, Inghilterra e Spagna. Ebbene, sono stati proprio passaggi parlamentari a sancire le transizioni più delicate di queste democrazie. Possiamo pensare al Governo Kohl, nato nel 1982 grazie a una sfiducia costruttiva che pose fine all’alleanza liberal-socialdemocratica. Al Governo Major, succeduto nel 1990 a Margaret Thatcher grazie a una votazione del gruppo conservatore. O infine all’attuale (e innovativo) Governo Sanchez, che ha sostituito un longevo esecutivo Rajoy attraverso la sfiducia costruttiva appoggiata dalle opposizioni.

Il Parlamento serve a costruire formule politiche di governo, e queste formule politiche non possono essere congelate per un periodo prestabilito di tempo. Il popolo è rappresentato dalle sue assemblee legislative e non dovrebbe legarsi le mani da solo con elezioni dirette «a caso». Ne è una dimostrazione, casomai l’esempio francese non bastasse, l’altro grande paradigma presidenziale del mondo: gli Stati Uniti. Donald Trump ha appena subito una sonora sconfitta politica alle ultime mid-term. Eppure è prevedibile che Trump rimarrà al comando degli States ancora fino al 2020. Pur dovendo gestire un Congresso con due Camere in mano a due partiti diversi. E sarà impossibile (anche perché non contemplato) formare un Gabinetto bipartisan.

L’elezione diretta del Presidente del Consiglio pone innumerevoli problemi. A meno che non si voglia allentare il rapporto fiduciario, bisogna prevedere che alla sfiducia parlamentare debba seguire una nuova elezione. Tra l’altro, rinnovando anche l’intero Parlamento. Una procedura dispendiosa e particolarmente rischiosa in un quadro partitico come quello italiano. Il nostro Paese è animato da forze politiche con spiccate doti culturali e filosofiche, identitarie, che si compongono e si ricompongono in continuazione. Se settant’anni di storia ci hanno insegnato qualcosa, la lezione che dovremmo trarne è che la politica italiana ha bisogno di ampio respiro per riuscire a funzionare. Irrigidirla in forme stringenti come il presidenzialismo e il sistema maggioritario crea solo tensioni.

Ciò che è avvenuto in Basilicata ne è un esempio lampante. Agli arresti domiciliari di Marcello Pittella è infatti seguito un periodo di caos e di incertezza che tuttora non ha termine. Le sue funzioni sono passate, provvisoriamente, alla vicepresidente. E il Consiglio regionale non ha voluto approvare una mozione di sfiducia, anche perché avrebbe determinato il proprio autoscioglimento improvviso. Imponendo elezioni subito.

Inoltre la logica maggioritaria spesso complica il quadro partitico anziché  semplificarlo. Contrappone per logica «competitiva» le varie opzioni, impedendo la necessaria mediazione e complicando i rapporti post-elettorali. Tra l’altro non esiste sistema che sia capace di garantire una maggioranza senza ledere la democrazia (e l’Italicum ne è una dimostrazione). Sul locale abbiamo per di più assistito a una moltiplicazione di liste civiche. Ma al nazionale il fenomeno si è riproposto nella miriade di cartelli che aggregano di volta in volta, per mera tattica anziché per convergenza ideale, i micro-frammenti dei partiti minori di un tempo, che si separano o si uniscono solo perché concordano sull’allearsi con l’uno o con l’altro. La separazione di LEU, PAP e Insieme alle ultime elezioni (così come il divorzio tra CP e NCI) si spiega solo per mere e asettiche scelte di campo.

L’elezione col sistema maggioritario scompone il quadro dei partiti e svuota i partiti dei loro ideali e dei loro valori. Difatti il Partito democratico nasce in una logica maggioritaria, per creare un unico grande contenitore degli avversari del berlusconismo. Scompare Berlusconi, scompare il maggioritario, e rimane un guscio vuoto percepito come l’establishment, che quando va al Governo finisce per adottare politiche di macelleria sociale. Ma altrettanto si poteva dire del Popolo delle Libertà, che per le stesse ragioni è naufragato ancora prima.

Si possono rappresentare i cittadini soltanto se si offre loro la possibilità di controllare i propri eletti. E questo avviene solo in un sistema parlamentare e proporzionale, in cui i partiti sono vere comunità e non meri simboli. Il proporzionale impone alle parti di aggregarsi sulla base delle proposte, di scegliere una formula comune attorno alla quale costruire un esecutivo serio. Il parlamentarismo permette di modificare la formula e sostituire i governanti inadatti. E un sistema partitico sano concede ai cittadini la possibilità di modificare l’azione dei propri parlamentari, facendo pesare l’opinione degli iscritti negli organi interni.

Non si può risolvere il problema della rappresentanza eleggendo ciò che non è al momento eletto. Per sentirsi rappresentati c’è bisogno di trasformare le elezioni in scelte politiche, e non in sfilate di moda con televoto. Ridateci i partiti, il proporzionale e il Parlamento: da che mondo è mondo, il popolo deve poter scegliere le leggi e decidere da sé, non eleggere un dittatore ogni cinque anni. Altrimenti, i gilet jaunes diventano l’unico modo per sfogare l’insofferenza.

Tratto da:Onda Lucana® by Marco Di Geronimo