Popoli, tecnologie e guerre

Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda

Nel mondo odierno i rapporti tra le genti si basano su criteri che sono sempre più soggetti alla tecnologia; tutto si riduce alla capacità di saper creare, innovare, gestire prodotti d’avanguardia. Tant’è che non è più indispensabile lo stesso sistema di vita che pone al centro l’uomo, anzi, questa creatura è stata relegata in secondo, terzo… piano. L’imperativo odierno è fare a meno dell’uomo, visto come ostacolante allo stesso progresso tecnologico, il quale deve poter proseguire inesorabilmente e senza la benché minima giustificazione di un operato spesso antitetico, privo di qualsivoglia senso ultimo, escatologico si diceva una volta: Tutto si vuole e subito, e anche senza senso, a giudicare dalla mole di idiozie tecnologiche, dalle app agli elettrodomestici “intelligenti”.

E poi ci si meraviglia se ad oggi i “gestori” dell’umanità, cosiddetta occidentale, ritengono più utile ridurre il fantomatico debito pubblico anziché favorire la natalità e la crescita dei bambini, (altro che crescita del pil!). Tuttavia la stessa tecnologia, lungi dall’essere disprezzata, dovrebbe, di grazia, tornare ad occupare il ruolo a lei proprio: ausilio all’opera umana, (non il contrario, come oggi). Dopotutto la tecnologia, nel rapporto tra le civiltà, storicamente, la si potrebbe posizionare ai piedi di un ideale podio dei valori che fanno grande un popolo: Infatti cosa crea il vero progresso lo si vede nelle guerre, e non mi riferisco solo a quelle che comportano il sacrificio in vite di tanti bravi figlioli, anche a quelle economiche. Vediamo così che in questa scala dei valori, o più propriamente fattori, il primo utile a determinare il successo delle genti, soprattutto in quelle preindustriali, era quello demografico: Nessuna stirpe, per quanto valorosa, avrebbe potuto non dico estendere la propria influenza politica ma anche mantenere la sua indipendenza senza un numero sufficientemente alto di popolazione. Vedasi la guerriera gente di Sparta; piccolo e valorosissimo popolo in guerra, ma estintosi per consunzione, controindicazione dovuta allo stesso valore bellico.

Il secondo fattore risiedeva invece nella qualità atletica di un determinato popolo: ebbene sì, si tratta di vera e propria forza e resistenza fisica da espletare sia nei lavori agricoli che tra le mischie furiose di fanteria. Entrambe caratteristiche proprie di popoli stanziali, che erano anche numerosi perché viventi in aree dal clima temperato dove la coltivazione risultava già all’epoca più facile. Vi è da dire che, e di questo gli autori greco-latini ne erano ben consci, le genti viventi in aree dal clima più difficile risultavano, e ancora oggi in verità è così, anche più robuste e resistenti. Tuttavia il rapporto con le genti stanziali, meno prestanti, veniva pareggiato dalla demografia: il clima ostile consente la sopravvivenza per poca popolazione. Il terzo fattore da prendere in considerazione riguarda l’organizzazione politica: Infatti a nulla valgono le precedenti qualità se non vi è a monte un sistema amministrativo emanato da un potere, centrale o periferico, in grado di gestire le risorse umane e farle rendere al meglio delle loro possibilità. Soltanto in ultimo, come quarto fattore, veniva il turno della tecnologia; quando, nel mondo preindustriale, non era richiesta una particolare bravura nelle innovazioni.

Era già tanto se si era riusciti ad aumentare la forza motrice dell’aratro col semplice accostamento al giogo posto sul collo della bestia da tiro di fasce in cuoio passanti per il torace. Possiamo squadernare altri, innumerevoli, esempi pratici di come fossero molto più indispensabili i tre fattori precedentemente esposti (sempre relativamente al mondo preindustriale, s’intende) rispetto a quello tecnologico, ma ne voglio citare uno che ha sempre suscitato in me particolare curiosità. Siamo nell’Iberia del terzo secolo a. C. e un popolo generoso alle fatiche nonché temibilissimo nell’uso delle armi ha preso il controllo dell’intera penisola.

E’ venuto fuori dalla fusione di popolazioni provenienti dal centro nord Europa, i celti, e le genti autoctone dell’arcaica Iberia, che gli studiosi fanno risalire alla prima migrazione dell’homo sapiens dall’Africa; da ciò gli stranieri presero a chiamarli celtiberi. Dalla forza non comune, fattore atletico, questa stirpe s’era industriata a coltivare intensamente le aree più fertili dell’antica Spagna, di conseguenza era cresciuta di numero facendo parlare di sé anche demograficamente, primo fattore, e ancora aveva messo a punto un vero e proprio capolavoro tecnologico: Il gladio iberico.

Questo popolo dalla forza erculea, secondo fattore, e numeroso aveva costruito una vera e propria arma di distruzione di massa, mettendo a segno un punto che potrebbe definirsi decisivo nella classifica dei candidati alla vittoria sulle altre genti. Il gladio iberico era infatti un coltellaccio composto da un acciaio così duro e pesante da tranciare arti e scudi dei malcapitati nemici trovatisi a combattere contro i celtiberi. In più, questi formidabili guerrieri riuscivano ad ottenere una tempra tale che la lama risultava, al suo interno, malleabile quanto bastava ad assorbire la forza cinetica derivata dal colpo, evitando che questa si spezzasse pur mantenendo la durezza diamantina al suo esterno.

Ma, allora, cosa ha impedito ai celtiberi di superare gli altri popoli? Evidentemente è mancata loro l’organizzazione politica, quella che avevano, (eccome!), le altre due grandi potenze che all’epoca, siamo sempre nel terzo secolo a. C., si contendevano il mediterraneo, ossia Roma e Cartagine. Entrambe, grazie alla capacità politica superiore alla norma, riuscivano ad arruolare centinaia di migliaia di soldati, addestrarli, disciplinarli e guidarli nei vari teatri di guerra e conquista.

Ai celtiberi non restò altro da fare che i mercenari al soldo di entrambi gli schieramenti. Non solo, alla fine la stessa tecnologia celtibera fu acquisita dalla repubblica romana che si valse, da allora in poi, delle micidiali lame iberiche per comporre i propri gladi. Se tale discorso lo applicassimo al giorno d’oggi? Vedremmo esattamente il contrario. Infatti, se ci trovassimo ancora in età preindustriale, nazioni come la Corea del Sud molto probabilmente continuerebbero ad essere sballottate tra il dominio cinese e quello nipponico, e invece il piccolo Paese, (demograficamente parlando, rispetto ai giganti coi quali confina) è riuscito a ritagliarsi il suo ruolo di importante partner economico mondiale grazie alla sua poderosa capacità tecnologica. La stessa Europa sarebbe spazzata via dalle nazioni afroasiatiche se gli venisse a mancare la sua superiorità tecnologica.

Cosa irrilevante nell’età medievale, quando a sopperire all’inferiorità numerica, e con una parità tecnologica, a salvare il vecchio continente fu il fattore atletico e quello politico. Sono numerosi gli esempi di cavalieri europei che soverchiano con le corporature imponenti la massa guerriera orientale, minata dal rachidismo congenito; inoltre le due grandi strutture politiche feudali, il Papato e l’Impero, riuscivano a reclutare con relativa facilità le truppe da inviare in Terrasanta o nella reconquista di Spagna. Tale andazzo di sostanziale equilibrio militare raggiunto tra la maggiore demografia orientale e migliore prestanza atletica occidentale, (laddove, ripetiamo, risultavano in pareggio anche i rispettivi fattori politici e tecnologici) si mantenne nel mediterraneo fino all’avvento delle armi da fuoco: l’età moderna, periodo che vedrà l’Europa prendere nettamente il largo sul resto del mondo.

Dal XV secolo in poi grazie ai bastoni sonanti, così venivano chiamati i fucili dagli indigeni d’Africa e America, che scagliavano frecce invisibili, come ebbero a dire i discendenti di Gengis Khan quando videro i russi dilagare in Siberia, gli europei iniziarono la conquista del mondo. Dopo questo excursus tra i secoli, presentando i fattori che sembrano abbiano determinato la “fortuna populi” pare sia stato escluso quello economico; tale analisi potrebbe essere vista come carente in molti punti, ma credo che le critiche più argute le riceverebbe riguardo al fatto di aver ignorato del tutto la componente della ricchezza. In verità in questa componente non si è vista nessuna distinzione dal fattore politico; infatti dipende esclusivamente dal tipo di organizzazione che si vuol dare a un popolo.

Se al governo delle genti vi sono i mercanti si applicheranno politiche consone al modello cosiddetto borghese, se al potere vi saranno aristocrazie d’atro tipo, ad esempio quelle terriere, feudali, vi saranno politiche incentrate al mantenimento di uno status quo sociale risalente alla notte dei tempi. In pratica tra i due schieramenti i primi si distingueranno per politiche più aperte al mondo, simili alle attuali social democrazie, giustificate queste dal pensiero liberista kantiano; le seconde, dette conservatrici, favoriranno sempre il mantenimento del patrimonio etnico indigeno, indifferenti al mondo esterno perché paghi delle ricchezze prodotte in loco.

Si dirà ancora che al di là delle ricchezze guadagnate col commercio un popolo potrebbe essere ricco di suo grazie a ciò che possiede sotto i suoi piedi. Anche in questo caso dipende sempre tutto dal fattore politico. Guardiamo agli stati d’Africa, anche quelli tribali di un tempo; purtroppo, e lo dico con vivo rammarico, da millenni non sono in grado di trattenere le proprie risorse del sottosuolo: ogni potenza esterna al continente nero ha potuto farvi man bassa nelle sue visceri, e questo perché gli africani non sono mai riusciti a strutturarsi politicamente.

Lo stesso dicasi per i celtiberi, ormai popolo paradigmatico di questo articolo; a questi, oltre alle grandi qualità descritte sopra, vi è da aggiungere anche l’altra grande fortuna che stava sotto i loro piedi: i più grandi giacimenti di oro e argento d’Europa! Anche questi, per via dell’incapacità endemica dei celtiberi a mettersi insieme tra loro, totale inadeguatezza politica, finirono nelle casse dell’erario e del fisco romani. A questo punto è doveroso chiudere espletando le caratteristiche di chi oggi pare avere le chiavi del dominio mondiale; Vi è da dire che una nazione, vero e proprio impero, nel secolo XXI pare non difettare di nessuna delle caratteristiche presentate sopra: Possiede in massimo grado il fattore demografico, è la più popolosa del pianeta, un eccellente organizzazione politica, a cui vanno aggiunte le enormi ricchezze accumulate grazie alla smisurata produzione industriale, il che ha garantito il miglioramento della situazione sanitaria con conseguente aumento della cosiddetta prestazione fisica….penso sia chiaro, dopo tutto ciò, che tutti questi pregi elencati siano propri della Cina.

Questa Nazione, in effetti, è in grado di dispiegare i quattro fattori più di ogni altra, al punto che è potenzialmente esiziale per il resto del pianeta! A questo punto non resta che sperare nella tradizionale mitezza della saggia civiltà dell’impero di mezzo, e che lasci margini di indipendenza agli altri. Ma, a giudicare dalla nuova via della seta, rete globale di ciclopiche infrastrutture ferroviarie e stradali snodanti lungo i percorsi sinistramente seguiti un tempo dalle orde di Gengis khan, la convivenza pacifica tra le genti pare sempre più un miraggio per gli stolti: alla fine vincono sempre i più forti, chi ottiene il meglio dai quattro fattori.

Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda

Articolo del giorno 25/01/2018