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Vorrei proporre alcune annotazioni relative al problema di quel che si può fare – in generale, ma soprattutto dal punto di vista della sinistra, o progressista – per dare un Governo a questo Paese, dopo il terremoto elettorale del 4 marzo e la doppia disfatta del Partito Democratico e di Liberi e Uguali: grave sconfitta che ha comunque lasciato in piedi il PD come secondo partito italiano (cosa non di poco conto in un sistema che purtroppo è di nuovo prevalentemente proporzionale, similmente ai tempi della Prima Repubblica).

Questa volta il mio è appena un pensiero abbozzato, e quasi una piccola riflessione di tipo problematico fatta ad alta voce, perché sono io stesso profondamente incerto sul punto chiave che c’interessa, e che si potrebbe esprimere nel modo seguente: “Il PD deve allearsi o almeno convergere con il M5S, stringendo un accordo di governo con esso o quantomeno dando al M5S qualche forma di disco verde che consenta ad esso di governare?”

A me pare che i pro e i contro siano in questo caso drammaticamente equivalenti. A favore del no come del sì ci sono, insomma, ragioni tutte molto plausibili. A volte io sono per una soluzione al 51 contro 49 e a volte per l’altra in modo simile. Ma ragionarne ad alta voce può contribuire a chiarire le carte che sono sulla tavola, “scoperte” e “coperte”.

Innanzitutto per sei anni consecutivi il M5S ha riversato sul PD tonnellate di letame, per usare un eufemismo. Certo si può sempre cambiare linea, ma la cosa, per essere minimamente credibile dev’essere accompagnata da una riflessione un po’ consistente, e anche autocritica. Non solo questa riflessione da parte del M5S non c’è, ma da parte di esso – come si è stravisto non solo a parole, ma nell’elezione delle presidenze, vicepresidenze e autorità di garanzia in Parlamento – è emersa con forza una linea di decisa preferenza, nelle indispensabili alleanze, con la destra più populista, xenofoba e lepenista, rappresentata dalla Lega di Salvini. Quello per il M5S resta l’alleato preferito, e questo per il PD dovrebbe pure voler dire qualcosa. Solo l’indisponibilità di Salvini a staccarsi da Berlusconi e da Forza Italia induce Di Maio, leader e candidato premier del M5S, ad aprire al PD, con una “logica” da “questi o quelli per me pari sono” che non si saprebbe se definire più ingenua o più sfrontata. Non c’imbarchiamo nell’annosa diatriba sull’attualità o meno della divisione tra destra e sinistra, ma è palese che le posizioni in materia di immigrazione, Unione Europea e tasse, tra Lega e PD sono opposte (mentre tra Lega e M5S sono o conformi o tranquillamente compatibili). Infine va riconosciuto che nel M5S ci sono quantomeno due anime, due identità opposte che sono come sovrapposte: roba da dottor Jekill e Mister Hyde del grande Stevenson. C’è, insomma, una schizofrenia allo stato quasi puro, nei “Cinque stelle”, che ci mette di fronte a una medaglia che su un verso è tutta rossa e sull’altro è tutta nera, come nel fascismo di Piazza San Sepolcro a Milano del 1919 e sino all’estate del 1920 (che di poi diventò “nero come il carbon”): il quale movimento “a cinque stelle” però, ora, non è un torbido fiumiciattolo come quel primissimo fascismo là, ma una fiumana che rappresenta “già” un italiano su tre. Per fortuna, però, il tutto accade in modo pacifico e costituzionale (per cui la somiglianza con la nera fiumana del fascismo non è di ideali, ma solo tra movimenti turbinosi dai complicati tratti e sbocchi, che però spesso “girano a destra”). Comunque insisterei sulla doppia natura o “sesso politico” del M5S (sul suo essere profondamente rosso e nero, quale tra i due “colori” prevarrà nei prossimi mesi e anni).

C’è un bel po’ di spirito della destra radicale in esso. Infatti è un movimento basato sul “principio dell’autorità del capo” (il führerprinzip, poco importa se mascherato tramite i miti della democrazia diretta, come altre volte è già accaduto nella storia, dai “rousseauiani” giacobini ai bolscevichi che volevano dare “tutto il potere ai soviet”): un führerprinzip  “a 5 stelle” prima incarnato dal duo Giandomenico Casaleggio e Beppe Grillo ed ora soprattutto da Di Maio (sia pure con una vigilanza più o meno forte da parte di Grillo e soprattutto di Casaleggio jr). Neanche Forza Italia è mai stata così autoritaria, perché il Grande capo, e cassiere (Silvio, insomma), non ha mai pensato di poter mettere la mordacchia più o meno a tutti i suoi seguaci, pur riservando a sé stesso l’ultima parola (prendere o “lasciare, anche se il vecchio lupo è ormai molto spelacchiato, per età molto avanzata e perdita di voti). Inoltre è palese che il M5S non ha resistenza alcuna nei confronti delle posizioni più o meno xenofobe della Lega. Esprime pure uno spirito d’intolleranza e sospetto, sebbene oggi trattenuto (carico però di diniego, disprezzo, rancore e dileggio verso giornalisti e persino leader avversari). Tutto ciò è l’opposto di quel che ci sta a cuore (sia che lo chiamiamo “sinistra” o in qualunque altro modo).

D’altra parte è innegabile che il M5S abbia intercettato non solo la motivata rabbia sociale di tanta parte dei giovani disoccupati e sottoccupati, i quali in effetti la stanno pagando e la pagheranno per tutti; e la speranza loro, e soprattutto del Sud, di ottenere un minimo vitale detto “reddito di cittadinanza”. Ma è pure innegabile che il M5S abbia preso i milioni di voti persi dal PD e sia, oggi, il movimento di gran lunga più votato dai lavoratori della CGIL, come ammesso da Susana Camusso stessa, e sia pressoché valorizzato da Maurizio Landini come una speranza per il domani. Pure la principale proposta del M5S, quella del reddito di cittadinanza, è di sinistra: per una ragione profonda attuale e per una remota per quasi tutti, ma che per me ha ancora il suo grande significato. Intanto si tratta di dare un minimo vitale dignitoso – un tetto e pasti caldi – a una gran massa di persone che non solo perde il lavoro, ma che non lo trova, e non lo troverà neanche in caso di ripresa, qui come a New York, perché globalizzazione, informatica e robotica, insieme ad alcuni vantaggi, hanno pure tremende conseguenze sociali; ma a questo proposito noi, persone di cultura o socialista o verde o cristiano sociale, non possiamo accettare che le conseguenze della globalizzazione, dell’informatica e della robotica siano pagate dalla gran massa dei giovani, e più in generale dalla povera gente, nostrana e pure straniera. Altrimenti dovremmo gettare nel cesso non solo il socialismo o il marxismo, ma pure il cristianesimo, o il buddhismo. Ma c’è pure un’altra ragione a favore del reddito di cittadinanza, rimossa dalla grande tradizione del “diritto al lavoro” che il movimento operaio ha sempre sostenuto dalla Parigi del 1848 in poi, ma che è un po’ diversa dal marxismo autentico (quello che c’era stato prima del prevalere del modello “planista” di Stalin come pure del Welfare State socialdemocratico o cattolico sociale, e che però è rimasto sempre un fermento vivo): è l’idea del socialismo come società in cui l’essere umano non sia più “forza lavoro” comperata sul mercato, privato come di Stato, ma liberato dalla stessa necessità di vendere la propria energia vitale e psichica, grazie ad una società in cui tutto sia di tutti: sicché la “liberazione del lavoro” sia anche liberazione “dal lavoro”. E infatti il genero di Marx, Paul Lafargue, nel 1880, quando il suo grande suocero era ancora vivo, scrisse un suo gustoso libriccino intitolato “Il diritto all’ozio”, che faceva il verso al “diritto al lavoro”. E bene fecero pure i socialisti italiani, nel 1892, fondando a Genova il loro partito, a non chiamarlo “Partito del Lavoro”, poiché il lavoro “comandato” è quella roba che si vorrebbe sempre far fare agli altri, bensì “Partito dei lavoratori”, che sono le persone, gli worker, che ci stanno a cuore. Insomma, il reddito di cittadinanza è doppiamente di sinistra, sia perché va incontro ai problemi della povera gente (che l’attuale rivoluzione tecnologica e globalizzazione, nonostante le immense possibilità che dànno, renderanno sempre più gravi), sia perché ha pure qualche nesso, poco importa se oscuro o meno, con il lato libertario dell’idea socialista, che proprio la crisi del Welfare State socialdemocratico come comunista potrebbe indurci a riscoprire.

In sostanza l’apertura di credito del PD e della sinistra al M5S è un bel dilemma. Se ci concentriamo sull’anima nera del M5S dovremmo starne alla larga, ma se consideriamo l’altra anima (rossa), e magari il vantaggio che avrebbe farla vincere sull’altro “spiritaccio”, la risposta è diversa.

Proviamo allora, a questo punto, a “ridiscendere a terra”, ma restando memori di questi punti d’orientamento: vedendo quali scenari veri si stanno aprendo (o chiudendo) davvero a livello di governo e commisurando a ciò le nostre scelte tendenziali (per me problematiche).

Al proposito un errore che dobbiamo evitare è quello di pensare che i “signori” del Parlamento siano solo il M5S di Di Maio (col 32%) e la Lega di Salvini (col 17%). Loro hanno o avrebbero, insieme, il 50% circa, ma c’è un altro 50% che ha il suo peso, e che anzi pesa di più. Senza contare il fatto che nel nostro ordinamento costituzionale il Presidente della Repubblica ha un ruolo decisivo nella nomina non solo del capo del governo, ma del governo tutto quanto. Non siamo allo Statuto di Carlo Alberto del 1848 in cui in teoria – anche se la prassi microparlamentare corresse subito la cosa già nel Parlamento Subalpino – il governo era di nomina e fiducia solo regia, ma comunque anche nel nostro assetto costituzionale il Capo dello Stato è il “grande tessitore” dei governi, che pure debbono poi avere il 51% almeno in Parlamento.

Ciò posto, nel qui ed ora italiano, ci sono diversi scenari possibili.

Potrebbe formarsi un governo M5S, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Questo piacerebbe e converrebbe a Salvini, che vedrebbe il 32% di Di Maio aggiungersi all’area del 37% di centrodestra che riconosce il suo primato di governo, ma sarebbe un suicidio per il M5S, che perderebbe metà o almeno un terzo dei voti dalla sera alla mattina, perché non può allearsi con Berlusconi senza perdere la faccia in grande misura.

Potrebbe pure formarsi un governo tra M5S e Lega, che partirebbe quasi col 50%. Questo converrebbe molto a Di Maio e al suo Movimento, ma sarebbe una follia per Salvini, che ora, come primo partito di un’area di centrodestra apparentata, vale il 37%, ma che se si staccasse dagli altri si consegnerebbe a Di Maio e C. col suo 17% rispetto al loro 32%. Ovviamente non lo farà mai: sarebbe un autentico frescone, mentre ha dimostrato di non esserlo affatto, per quanto tutte le sue idee ci possano dispiacere ed egli possa essere o apparire un rozzo (però campando pure “assai” sulla propria vocazione “popolaresca”). Ma anche Di Maio sarebbe un bel frescone se avesse davvero pensato che Salvini possa raggiungerlo col suo 17 lasciando cadere il 37 che oggi rappresenta, per andare a dipendere da chi ha il 32% e che è alla testa di un movimento non propriamente malleabile e tollerante con l’”altro da sé”.

C’è anche lo scenario di una possibile maggioranza tra M5S e PD, che sulla carta avrebbe più del 50%. Sono molto tentato dal pronunciarmi per il dialogo tra PD e M5S, anche se ci sono pure forti controindicazioni politiche, implicite in quanto ho già detto, ma più concretamente precisabili: 1) allearsi con chi ti ha massacrato, sia con le parole e opinioni che elettoralmente, non è mai facile, e in genere non è certo fruttuoso, per qualsiasi partito nella storia; 2) il M5S può pure avere una forte componente di sinistra, ma ce l’ha pure di destra, e non a caso  la sua preferenza chiara va a Salvini, il Le Pen italiano, che è il suo “alleato preferito”; 3) il rischio di essere forza di complemento di un giovane populismo con basi di massa e che ha il 32%, mentre il PD ha il 19, è alto: tanto più che il PD è diviso, perennemente in crisi esistenziale e ormai persino senza “capo”, de-capitato. (Io faccio maledettamente il tifo per Graziano Delrio, sin qui purtroppo reticente: il solo che secondo me abbia tutte le buone qualità di Renzi senza nessuno dei suoi difetti).

Quindi il vendere cara la pelle prima di andare a un incontro con Di Maio che è comunque ad alto rischio di sodomizzazione da parte del “guaglione” napoletano, è da capire. Tanto più da parte di un partito come il PD, che avrebbe bisogno di ritrovare l’anima e la direzione di marcia. Forse il ministro della cultura ed ex segretario del PD, Dario Franceschini, lo intende poco perché è il vero allievo di Forlani (il vero democristiano, che naturalmente, guarda caso, per l’occasione è più caro ai post-comunisti); insomma Franceschini, per quanto politico di razza, è l’erede di gente che non sa rappresentarsi se non al potere. É vero che il rischio di apparire, e persino di essere, fuori gioco – per il PD che molla il campo di gioco del governo – è altissimo. Ma secondo me questo rischio viene corso non perché Renzi abbia battuto la testa (benché dopo la sconfitta del referendum del dicembre 2016 abbia commesso molti errori), ma perché c’è pure un altro scenario possibile: uno scenario che fa sì che la tattica scelta, per quanto “perigliosa”, abbia pure le sue ragioni, che i commentatori a quanto pare poco capiscono. É pure possibile, infatti, un governo del Presidente o istituzionale. E anzi io ritengo che questa sarà la vera soluzione della lunga crisi di governo: quella che s’imporrà al più tardi tra un paio di settimane e che durerà almeno due anni (e magari cinque, perché in Italia non c’è nulla di più definitivo del provvisorio). Per ora non può essere presa in considerazione perché, costituzionalmente, prima si deve verificare che esista (o non esista) una maggioranza parlamentare “politica”, corrispondente il più possibile al voto che hanno espresso gli italiani.

Sarà possibile un M5S-Lega-Forza Italia-Fratelli d’Italia?

–  Certo che no, ma l’impossibilità, pur manifesta, dovrà, costituzionalmente, diventare manifesta al di là di ogni ragionevole dubbio.

Sarà possibile un M5S-Lega?

–  Certo che no, perché Salvini non mollerà mai il resto del centrodestra, ma anche questo dovrà risultare in modo palmare.

–  Sarà possibile una maggioranza, se non proprio un governo, M5S-PD?

Ecco l’oggetto del contendere, su cui vale la pena di fare qualche ulteriore osservazione. É chiaro che se l’alternativa a queste tre soluzioni fossero le elezioni anticipate, la tattica di Renzi e Compagni sarebbe da Premio Nobel della stupidità politica. La sinistra da un lato e Forza Italia dall’altro prenderebbero in modo ulteriore e più grave, ora come ora, un sacco di legnate. Roba degna di quel tale che tradito dalla moglie la punì evirandosi. E i tanti nemici di Renzi hanno l’interesse e vocazione a presentarla così, come sempre sottovalutando (o sopravvalutando) “l’Antagonista”, il “rinnegato Renzi”. Ma non si andrà a elezioni anticipate, che in realtà convengono solo al M5S e forse – ma con troppi punti interrogativi – alla Lega, ma sono pura peste per tutti gli altri.

Il M5S ne avrebbe persino vantaggio, perché si presenterebbe come l’alternativa al marcio sistema bisognosa di un plebiscito popolare. E infatti i sondaggi gli danno il 35% e Di Maio ha già rassicurato i suoi parlamentari dicendo loro che rimetterebbe tutti in lista, senza tener conto dei due mandati. Ma Salvini?

– Siccome ovviamente Forza Italia da nuove elezioni dietro l’angolo ha tutto da perdere (nonostante gli “spergiuri” di Brunetta), e l’operazione sarebbe tutta per donar sangue di centrodestra alla Lega, Berlusconi si porrebbe di traverso, e Salvini dovrebbe correre in aperta competizione con Berlusconi e compagnia bella. La Lega non lo farà. Quindi il rischio che il PD, mantenendo i suoi “niet”, spinga a elezioni a breve, che solo il M5S avrebbe interesse ad ottenere, è veramente remoto.

L’alternativa “vera” sarà il Governo del Presidente. Renzi e compagni non possono invocarlo senza fare ulteriori autogol (dopo Monti non è certo un’idea popolare). Ma secondo me hanno deciso che questa soluzione sia preferibile a quella di fare l’alleato povero del M5S, che oltre a tutto è populista e più prossimo al Matteo leghista che a quello democratico, o alla Lega che al PD (in troppe cose), e che è già troppo ingombrante e concorrenziale, e compatto, e giovanilmente rampante, perché gli si tolgano pure le castagne dal fuoco. Meglio sfidare “i vincitori” a governare, dimostrando che dopo tanta tracotanza anti-PD non lo possono neanche fare e se mai lo facessero farebbero molti autogol (tanto c’è sempre la carta del governo del Presidente).

Ma anche il governo del Presidente non è privo di incognite. Lì si vedrà “la nobilitade”, o la pochezza, del Presidente.  Mattarella, che per ora è “un’incognita”. Qui scivoliamo nella fantapolitica. Il centrodestra, nei colloqui col Presidente, ove diventasse attuale il “governo del Presidente”, avendo avuto come schieramento apertamente imparentato il 37%, rivendicherà un Presidente più gradito(che potrà persino essere “la Presidente” del Senato, “seconda carica dello Stato”, che oltre a tutto in quel caso sarebbe la “prima donna” della storia d’Italia dal 1861 in poi a diventare capo del governo, e che ha un curriculum professionale di tutto rispetto). Però è troppo berlusconiana (e questo segretamente potrebbe dispiacere, ed essere sabotato, anche da Salvini, e certo lo sarebbe, apertamente, da parte del M5S e probabilmente del PD). La stessa destra potrebbe ripiegare su un qualche “vecchio statista”, o finanziere, malleabile con Berlusconi (e il M5S allora dirà “niet”). Il M5S, se mai accettasse tale “grande gioco” del Presidente, potrebbe volere o un grande costituzionalista, tipo Zagrebelski, o la terza carica dello Stato, il Presidente della Camera, che già si è calato astutamente, ma forse pure del tutto sinceramente (il che è una forza in più), nel ruolo dell’uomo tutto Stato e Costituzione: Roberto Fico, la “stella rossa” della compagnia. E se fossi in Di Maio accetterei un governo del presidente solo diretto da Fico, altrimenti passerei all’opposizione (certo che in tal caso alle elezioni incasserei una grande massa di voti). Debbo dire che io nei panni di Mattarella, dopo aver finto di sentire tutti in modo compunto, sceglierei proprio Fico. E a quel punto anche il PD potrebbe e anzi sarebbe costretto a uscire dall’angolo, tanto più che non vorrà certo aiutare il M5S a correre alle elezioni. Questo mi sembra lo stato dell’arte. E poi vedremo.

                                                                                                                     (franco.livorsi@alice.it)

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