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Nella scorsa “puntata” avevamo chiarito quelle caratteristiche che potrebbero essere addotte a una delle tante e diverse cause della crisi dello Stato-nazione. Prima, però, di passare al tema del dialogo e della democrazia, come promesso, vorrò citare un’ultima ragione in merito al disfacimento delle istituzioni nazionali.

SOCIAL, SOCIETA’ GLOBALE E SOVRANITA’ NAZIONALE

I social rappresentano il primo vero e reale compimento di un modello di società globale a tutti gli effetti nel senso che, su queste piattaforme, non esistono più neppure i confini territoriali e le barriere frontaliere che oggi dividono gli Stati nel mondo reale e che rappresentano sicuramente l’ultimo ostacolo alla formazione di suddetta società nella realtà oggettiva. Facebook insegnerebbe dunque ai giovani, che fin da bambini ormai vi si approcciano, a vivere in un ambiente completamente estraneo a qualsivoglia tipo di limitazione geografica, politica e, soprattuto, linguistica e culturale. L’inglese, per mezzo della rivoluzione digitale, si è diffuso a passo svelto tra le giovani generazioni che lo masticano con sempre maggiore facilità. Oggi, grazie al W.W.I (World Wide Web), gli individui possono relazionarsi con culture, stili di vita, schemi di pensiero che non fanno altro che delegittimare la prevalenza e primazia di quello a cui geograficamente appartengono.

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Un esempio potrebbe essere quello della recente ondata del fondamentalismo islamico per cui individui perfettamente integrati nella società democratica e occidentale, hanno fatto le valigie per combattere guerre in altri posti del mondo seguendo un ideale cui loro non c’entrano assolutamente nulla e nulla c’avrebbero centrato se non vi fossero stati questi nuovi e potenti mezzi di comunicazione di massa. Dei ragazzi sono stati addirittura convinti a prendere in mano un fucile e fare stragi nelle stesse località della loro infanzia in quella che, un tempo, chiamavano “casa” in virtù di ingiustizie presunte inculcate loro da individui che hanno saputo sfruttare la potente carica emozionale di registrazioni audio-visive di massacri e genocidi di quelle popolazioni musulmane – come i Bosniaci da parte dei Serbi, per fare un esempio- sparse nel mondo ma che, ai fatti, non hanno nulla a che fare con dei ragazzi diciottenni dei sobborghi di Londra – se non per lontani e nebbiosi legami di parentela-. Ormai non è più un segreto che rivoluzioni, come la “primavera araba”, sono state possibili soprattuto grazie alla diffusione di informazioni resa disponibile da questi potenti mezzi.

Oltre il caso specifico del fondamentalismo e dei gruppi terroristici, la riflessione dovrebbe viaggiare su livelli più elevati di diffusione nel senso che l’influenza dei social si realizza anche negli stessi schemi di pensiero delle persone. La gente del terzo millennio è abituata ormai ad un atteggiamento multiculturale che, salvo il caso dei reflussi nazionalisti, contribuisce a spazzare via il nazionalismo stesso. Le frontiere e il tradizionalismo appaiono ormai essere l’habitat naturale di un’unica categoria sociale: la categoria delle persone che non hanno saputo ambientarsi nella società post-industriale e che dunque vi rifuggono spaventate. In ogni caso non sono sicuramente la dimensione naturale del resto. I social sono, da questo punto di vista, un potente fattore di accelerazione, una sorta di potentissimo catalizzatore della reazione verso la globalizzazione.

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Lo Stato, con la sua impossibilità di generare risposte globali e problemi globali rappresenta ormai un peso che questi mezzi tendono sempre più spesso a bypassareLe stesse procedure vengono in qualche modo bypassatenon sempre a fin di bene. La dimostrazione di ciò la si ottiene facilmente riflettendo sulla influenza, forse decisiva, della campagna sui social del Cremlino per spostare l’asticella verso il candidato repubblicano alla Presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump – si sospettano, inoltre, ulteriori manomissioni del sistema elettorale anche in Italia alle ultime elettorali-. E’ Quando la stessa sovranità dello Stato viene così turpemente e facilmente aggirata che non si può più chiudere un occhio difronte alla crisi che investe le nazioni  agli albori del terzo millennio.


 

PIU’ MONOLOGO CHE DIALOGO

Secondo la scienza politica e le scienze sociali, alla base della democrazia vi è il dialogo. A questo proposito esiste un “teoria dialogica” della democrazia per cui alla base del dialogo vi è la rinuncia alla pretesa di validità assoluta delle proprie tesi accettando la messa in discussione delle stesse.

Non è un segreto che i social network, invece di stimolare un proficuo dialogo tra gli individui, spingono questi ultimi alla radicalizzazione, ad un dialogo sempre più monologo. Vediamo alcune caratteristiche alla base del “monologo sociale” partendo dall’osservazione che, questi ultimi, siano più un mezzo che una causa: se un individuo, per suo ragioni, è portato all’esclusione sociale allora in Facebook troverà il suo “santo Graal” poichè egli potrà condividere in qualche modo le proprie idee con il resto del mondo senza doversi spostare da casa; se invece consideriamo un individuo molto attivo, i social saranno il mezzo con cui egli potrà far sentire ancora di più la propria voce e organizzare, in maniera ancora più capillare, la propria propaganda, il proprio messaggio da diffonde in comizi e campagne all’aria aperta. Dunque analizziamo questi fattori:

  • I social eliminano la necessità intrinseca del confronto che nasce dall’incontro faccia a faccia tra individui il quale, a sua volta, è necessario per instaurare un dialogo. Se dunque, nel mondo reale, si deve per forza parlare alla presenza di qualcun altro per diffondere le proprie idee – o per criticare-, sui social è possibile semplicemente postare il proprio monologo con tutte le radicalizzazioni e limitazioni del caso. Questo fatto ci preclude dalla possibilità di conoscere i punti di vista degli altri e ci spinge e restare entro i limiti del nostro “porto sicuro” ovvero, delle persone che la pensano come noi.
  • La rivoluzione digitale, abbinata alla società virtuale di queste piattaforme online, ha prodotto, con l’evoluzione degli strumenti digitali, una sorta didimensione parallela in cui realtà,verità e menzogna si mischiano. Grazie ad una videocamera ed ad un buon servizio di montaggio posso, partendo da una fonte reale – le riprese video e le fotografie-, creare una realtà virtualmente prodotta capace di trarre in inganno la gente e travalicare i confini del fatto oggettivamente avvenuto. Come si dice, una bugia per essere creduta deve pur sempre avere un pizzico di verità. I populisti e le fake news di questo genere tendono, ad esempio, a creare un costante senso di insicurezza instillando un sentimento di ansia irrazionale nelle persone facendo, ad esempio credere, nella teoria dell’”invasione culturale“. Postando solo servizi accuratamente prodotti per instillare questo genere di credenza e questi timori. Come ampiamente dimostrato dal voto di pancia, oggi, come ieri, ciò che conta nella società non è “ciò che è” ma “ciò che la gente pensa che sia“.
  • Il fatto di essere preclusi dallo scontro “face-to-face” spinge gli autori dei post più bersa.jpgcritici a aumentare, verso nuove vette, il livello di radicalizzazione dell’agone politico-culturale. Insulti, minacce di morte, menzogne – che tanto non saranno mai dimostrate- etc. sono all’ordine del giorno. Le persone dicono sui social quanto mai direbbero nella realtà, parliamo di quelli che vengono definiti “leoni da tastiera“. Il problema è che, in ultima istanza, il potere del popolo in una democrazia si riduce essenzialmente al voto e i “leoni da tastiera” – seppur possano anche essere delle gazzelle o dei topi nella realtà- possono fare molto per influenzare a loro favore questo voto.

Vi aspetto per la terza parte

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