Alcuni accenni su un popolo eroico (nona parte)
Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda
Le vicende che interessano la Russia dal secondo dopoguerra ai giorni nostri, per ciò che concerne i rapporti con l’Ovest, non presentano nulla di nuovo; in breve si potrebbe liquidare la faccenda incentrandola sulla consueta acribia che i liberal occidentali hanno sempre nutrito nei confronti di ogni forma di gerarchia, che infatti gli anglosassoni definiscono, in modo generico e superficiale, autoritarismo.
Ma dall’altra parte della cortina di ferro il concetto di autoritarismo non è mai stato visto come un qualcosa di ostacolante delle libertà, quindi con un accezione prettamente negativa, tutt’altro; fin dal tempo degli zar, spero sia stato reso bene il concetto nei paragrafi precedenti, l’unico modo per rendere omogenea l’amministrazione, o meglio rendere partecipi di un unico progetto politico diverse etnie che altrimenti avrebbero continuato a combattersi tra loro, è stata la figura del Cesare d’Oriente.
Ora, questa ascendenza “ideologica” bizantina ha decisamente offerto il miglior strumento di unificazione per un territorio vastissimo che, soprattutto nelle lande europee, ha visto un incremento demografico che la parcellizzazione tribale dei tempi antichi rendeva semplicemente impossibile. Facciamo un esempio valido per spiegare molte cose: L’Ucraina, fin dal tempo di Omero nota per l’abbondanza di produzione cerealicola, grazie al principato russo di Kiev ha potuto organizzare e distribuire questo bene fondamentale del nutrimento umano in modi inimmaginabili fino ad allora.
Estendendo le coltivazioni, grazie alla protezione di un vasto potere centrale, si riuscì a mettere al mondo un numero maggiore di prole, la quale ovviamente contribuiva, dopo i soli vent’anni canonici di maturità fisica umana, ad incrementare ulteriormente la popolazione estendendo i poderi amministrati dalla nobiltà locale. Ovviamente l’unione con il principato di Mosca implementò maggiormente le coltivazioni in modo da aumentare la popolazione russa, cosiddetta caucasica.
A questo va aggiunto l’apporto tecnologico che l’Europa occidentale rese al popolo russo, ricordiamo soprattutto il devastante effetto che ebbero i fucili delle armate zariste sui mongoli. In questo modo i sudditi dell’ex principato di Mosca, ora del redivivo Impero Romano d’Oriente, furono in grado di porsi come conquistatori di un territorio sterminato; superarono di slancio gli Urali per conquistare la Siberia fino al Pacifico. Questo sistema sociale agricolo, anch’esso retaggio delle influenze benefiche che il mondo mediterraneo romano vi aveva infuso, si era dunque in fine imposto, soppiantandolo del tutto, sul mondo delle steppe ivi regnante fin dall’alba dei tempi.
L’arciere a cavallo era sostanzialmente un pastore, e tale restarono gli ex padroni mongoli quando furono scacciati dalla Russia europea: il paradigma era mutato radicalmente. L’eroico popolo russo era diventato stanziale, definitivamente; dunque era entrato nell’orbita della civiltà, (intesa questa nel vero senso della parola) tra coloro che venivano conosciuti come i mangiatori di pane: così i greci definivano coloro che vivevano nelle città coltivando i prodotti della terra del contado.
Tale sistema rimase immutato fino al ‘900, nonostante le follie bolsceviche e l’altrettanto folle invasione nazista. La vittoriosa guerra patriottica aveva fatto superare le divisioni interne tanto che negli anni ’50 e ’60 il dissenso verso il regime comunista era francamente ridotto al lumicino. Gran parte della popolazione russa continuava a vivere, come al tempo degli Zar, in un universo a se stante, completamente autosufficiente; la sua economia era felicemente privata della “creatività” degli istituti borsistici: e come in tutti gli stati autoritari, anche in Unione Sovietica esisteva quella che viene comunemente chiamata piena occupazione.
E quando il vento d’occidente, questa volta non benefico come nell’evo medio, spirò le sue cialtronate rivoluzionarie sessantottine, il regime comunista non ne risentì minimamente. All’europeo d’Oriente non interessava, ed ancora oggi è così, l’arricchimento. Lo stress, come dicono sempre loro, i dominatori liberal anglosassoni, è il frutto avvelenato di chi è eternamente insoddisfatto, del consumatore compulsivo; è una sorta di supplizio di Sisifo quello a cui sono stati condannati gli occidentali: crescita continua, bisogna rotolare il macigno delle ricchezze fino in cima alla vetta del successo personale e pubblico, con l’unico risultato di essere poi scaraventati giù dal dirupo assieme alle fortune accumulate dopo tanti anni di sacrifici.
Alla fine comunque i liberal ebbero la meglio; il regime dell’economia totalmente statalizzata, quello comunista, collassò anche per via dell’accidia a cui furono condannati uomini demotivati dalla frustrazione di non poter considerarsi pienamente padroni di un proprio destino. L’opposto esatto della folle privatizzazione occidentale. In Russia gli effetti dell’entrata in società dell’economica di mercato furono ancora più devastanti poiché, come detto sopra, i russi erano predisposti per natura a vedere nell’organismo statale l’ordine e la sicurezza da altre e ben peggiori tirannie, siano state esse quelle dei principi locali, i boiardi, o i commissari della nomenclatura sovietica.
La selvaggia entrata in scena dei potenti oligarchi dell’era Eltsin, profumatamente pagati dagli eterni nemici delle Russie, la grande finanza statunitense, aveva reso il collassante impero sovietico una immensa torta da spartire: in pratica eravamo tornati ai tempi della caduta degli Zar. Una situazione ricorrente che ci fa intendere come sia fondamentale un forte potere centrale in quell’area immensa del pianeta, soprattutto per il benessere dei cittadini che vi abitano. Emblematico di quel periodo di crisi, nera, fu l’entrata nel gabinetto di Eltsin, totalmente a digiuno di economia, del gruppo di “esperti” occidentali come Jeffrey Sachs, del fondo monetario internazionale e proveniente da Harvard.
Un personaggio che anche noi, non esperti in economia al pari dell’ex presidente russo, avremmo giudicato quantomeno non proprio interessato alla federazione russa. E invece con decreto presidenziale in vigore dal 2 gennaio 1992 Eltsin iniziò il processo di regalie ai privati, spesso stranieri, delle ricchezze minerarie russe. Un esempio illuminante fu quello che venne giudicato il furto del secolo: la società Menatep, una banca privata, comprò un’azienda petrolifera, la Yukos, che all’epoca valeva oltre 2 miliardi di dollari, pagandola 350 milioni! Il capo della Menatep era l’ebreo Chodorkovskij, come ebrei erano gli altri grandi oligarchi russi Boris Abramovic Berezovskij e Gusinsky.
La storia si ripeteva ancora, e non in forma di farsa, come diceva Marx; negli anni ’90 siamo di fronte al nuovo tragico tentativo di devastazione territoriale e sociale della Russia, e sempre ad opera della stessa comunità che si richiamava, ideologicamente ed etnicamente, all’antico popolo dei kazari, (i turchi convertiti all’ebraismo che nel VII secolo d.C. fondarono un impero sui territori che saranno il dominio degli zar).
Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda
Immagine di copertina e interna tratte da Web.
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