Alcuni accenni su un popolo eroico (seconda parte)
Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda
Dunque, alla caduta di Costantinopoli, i cadetti dei Paleologhi erano fuggiti in Italia, a cercarvi asilo politico diremmo oggi, e fu proprio in tale drammatico momento che ritornò in scena, prepotentemente, la figura di Bessarione. E’ lui che, da fine intellettuale, si prodiga per la salvaguardia dei principi nati nella camera di porfido, oltre a mettere in salvo i sapienti fuggiti al massacro turco unitamente a migliaia di manoscritti antichi, e altri lavori dei commentatori bizantini contenenti le epitomi su un patrimonio culturale ellenico e romano che affondava le origini addirittura all’evo arcaico, (Quello esalante dalle fessurazioni della grotta di Delfi, l’oracolo di Apollo per intenderci).
Ma Bessarione, oltre a questa monumentale fatica, intuisce anche che il mondo occidentale è ormai radicato in determinati schemi che non contemplano più la monarchia universale. Era tempo perso insistere affinché le potenze dell’Europa occidentale intraprendessero l’ennesima crociata; papa Pio II Piccolomini assistette moribondo alle poche navi schierate dinanzi al porto di Ancona, e che mai sarebbero salpate per recuperare Costantinopoli. Non restava altro da fare, al prode intellettuale Bessarionne, che rivolgersi ad un mondo che potremmo definire vergine, nei suoi aspetti puramente ideologici, descrivendo il quale i latini non avrebbero avuto esitazioni a vantarlo come ingenus, aggettivo che non aveva per gli antichi l’accezione negativa che ha assunto oggi (dove all’opposto è esaltato il furbo, il ladro, il cialtrone… e via di questa risma) bensì coloro che erano nati liberi, dei quali si conosceva l’ascendenza, la genitorialità, la gens di appartenenza; sostanzialmente il buon cittadino: il genuino, il puro, colui che aveva lo sguardo innocente.
Ora, il motivo per cui mi sono soffermato su questo aggettivo è dato dal fatto che voglio marcare il carattere tipico di tutti i popoli che vivono in condizione di primitiva innocenza; si badi bene, non con lo sguardo di Gauguin verso i taitiani, ma con la consapevolezza che i rudi uomini dei primordi dispiegavano, al pari della crudeltà, i valori del sacrificio, lottando contro miriadi di nemici feroci ai quali è necessario dare risposte altrettanto spietate. Questo era il mondo delle steppe, sui quali dominavano immensi khanati le cui origini risalivano alle conquiste mongole di Gengis Khan, e che tenevano tributari i ducati e granducati slavi, anche quello di Mosca.
Era naturale dunque che, temprati da simili avversari, i russi avevano acquisito le necessarie attitudini militari e politiche utili, innanzitutto, a riscattarsi dalla loro condizione di subalternità per poi entrare prepotentemente nella storia mondiale. Iniziando a trarre profitto dalle debolezze interne dei turco-mongoli, sempre più divisi, tramite una paziente, lenta, opera di affrancamento dal servaggio verso simili popoli fino a quando, assurto a potenza regionale, il granducato di Mosca divenne, per credo religioso greco ortodosso e posizione geografica, il naturale alleato nonché vendicatore della caduta Costantinopoli; risultando il migliore avversario per i nemici dei romei. In tale frangente Bessarione, (nominato nel frattempo cardinale) convinse Papa Paolo II della necessità di inviare a Mosca, come sposa di Ivan III, la principessa Zoe figlia di Tommaso, l’ex despota della Morea.
La mossa diplomatica risultò vincente e cambiò per sempre la storia russa. In questo modo i simboli, il retaggio e le rivendicazioni giuridiche alla continuazione dell’Impero Romano, saranno da allora in poi appannaggio dei dinasti russi. Dal felice matrimonio tra il gran Duca Ivan e la Principessa bizantina nacque l’erede al trono Basilio III. L’ultimo passo, quello ufficiale, verso la rivendicazione della corona degli antichi cesari, venne compiuto dal figlio di Basilio, Ivan IV, che introdusse il simbolo dell’aquila bicipite, già simbolo dell’Impero Romano d’Oriente (Introdotta da Costantino, le due teste avevano il significato ben preciso della duplice regalità dell’Impero Romano, occidentale e orientale) il globo sormontato dalla croce, anch’esso simbolo degli imperatori cristiani di Roma e, ovviamente, corollario di tutto ciò non poteva mancare il titolo di Csar, da cui gli slavi tradussero Zar.
Il Cesare d’Oriente era rinato, rinvigorito dal giovane e florido sangue delle steppe. E’ con questo sovrano che inizia la vera e propria espansione della Russia. Il nipote di Zoe, Ivan Grozny, il terribile, altro epiteto di chiara ascendenza bizantina, sottomise i khanati di Kazan e Astrachan, ultimi residui dell’antico Khanato mongolo dell’Orda d’Oro, per poi spingere per la prima volta i suoi eserciti a varcare gli Urali e dilagare nella sterminata taiga siberiana. Meraviglia e angoscia nei discendenti di Gengis Khan seminarono le truppe russe che, come attestavano gli atterriti mongoli, lanciavano frecce rumorose e invisibili, trapassando e maciullando le carni dei guerrieri. I Signori della steppa si erano per la prima volta imbattuti nei fucili, il millenario dominio dell’arco composito era tramontato, agli slavi rus si era spalancata la via per l’oceano Pacifico.
Data la primitiva arte guerriera praticata nella steppa, e l’endemica bassa demografia, per i russi l’avanzata a Est risultò più facile di quanto non lo fosse per l’Ovest; per giungere al Baltico bisognava infatti affrontare i temuti, all’epoca, svedesi e soprattutto i cavalieri lituani. Inoltre, guardando a Sud, la via per il Mar Nero ed il Caucaso era impedita da altri avversari tremendi, i tartari del potente khanato di Crimea. Nei confronti di questi avversari e nel corso di numerosissime battaglie che devastarono il vastissimo territorio che comprende l’attuale Bielorussia e Ucraina, lo Zar Ivan impegnò i migliori elementi del suo esercito, che proprio sotto il suo principato fu aumentato di numero e reso permanente.
Tutto questo mentre proseguiva la sanguinosa resa dei conti con i principi locali (russi) i boiardi, in una interminabile guerra civile che riduceva in cenere le umili dimore degli eroici contadini russi che, a quel punto, vedevano nello Zar l’unico modo per vivere “dignitosamente”, se non altro perché i soprusi non si sarebbero moltiplicati per il numero dei contendenti feudatari! La necessità di accentrare, nei modi più lontani dal pensiero occidentale, era diventato il cruccio principale per lo Zar, al quale era deleteria l’autonomia dei potentati locali, ed aveva ragione da vendere su questo punto: perché, data la vastità delle contrade, i feudi presto si sarebbero tramutati in veri e propri territori secessionisti.
Al contrario risultava propedeutica al potere del Cremlino un efficiente burocrazia che rapportasse la situazione delle provincie. A noi questi accenni di evoluzione politica russa, alla nascita del suo impero, potrebbe sembrare una semplice guerra tra barbari, lontani anni e forse in misura maggiore miglia da quanto ci è più consono, vicino. E’ invece a questi rivendicatori della romanità (e ne hanno pieno diritto se pensiamo che le stesse ambizioni le coltivano anche gli americani) che dobbiamo rendere grazie, tutti i giorni, del fatto che la provvidenza abbia voluto la nascita, o rinascita, di un impero di stampo cristiano e romano nella Scizia. Quante volte i predoni delle steppe erano giunti fin nel cuore dell’Europa?
Da Attila al Khanato dell’Orda d’Oro passando tra le incursioni degli avari, dei turchi, dei peceneghi, dei magiari e dei khazari. Fin tanto che i bizantini reggevano, i nuovi arrivati, che si trattasse dei bulgari o dei croati, i serbi e gli ungheresi, tutti venivano regolarmente “sistemati” nei territori dell’impero, e questo grazie soprattutto alla sapienza diplomatica, all’oro e qualche volta anche alle spade, che pure i romani d’oriente sapevano maneggiare. Quando tale forza cessò, (con la crociata del 1204) e sempre grazie alla stoltezza degli occidentali, riprese l’avanzata delle forze dell’Est. Ancora una volta, per opera della divina provvidenza (rifacendomi a Dante che asseriva lo stesso per il viaggio di Enea in Italia, a portarvi la fiaccola dell’impero) Bessarione, scortando l’ultima erede dei Paleologhi fino a Mosca, diede una missione al popolo russo, la fiaccola della romanità da tenere sempre accesa, e con la quale illuminare le genti dell’Eurasia. (continua)
Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda
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