Quelli che si arrendono e scappano dalla rissa dei social dicono basta a facebook. La piazza virtuale in cosa è diversa dalla piazza di una volta?

di Marilena Rodi

Esco o non esco, questo è il problema. Facebook è uno strumento deleterio o un’opportunità? Insomma, che fare con ‘sti benedetti social, gioia e dolori di questo scorcio di secolo (ac)campato sulla comunicazione? Fino a qualche tempo fa il tormentone era “entro o non entro”, oggi il focus si sposta sulla exit strategy. Ma che è accaduto alle persone che riflettono sulla presenza social?

Un grande bene produrrà un grande bene, secondo una logica filosofica. Se dunque, un intelletto è una parte così eccellente di noi, e la sua coltivazione è così eccellente, dev’essere utile a chi lo possiede e a tutti coloro che lo circondano; non utile in senso basso, meccanico, mercantile, ma come un bene diffusivo, una benedizione, un dono, o un potere, o un tesoro, dapprima del proprietario, poi attraverso di lui nel mondo.

Questo assunto nobile del bene (non inteso, dunque, solo come un ‘prodotto’ al quale corrisponda un prezzo, ma come valore intrinseco di un sapere coltivato e da nutrire costantemente) – per quanto attuale – è anche il pensiero di un filosofo ottocentesco, J.H. Newman, che criminalizzò l’esercizio professionalizzante delle università e l’utilità materiale persino delle persone. Una scuola non deve insegnarti un mestiere, ma a vivere. A relazionarti, ad agire in gruppo, a rispettare gli ‘estranei’, a immergerti nel sapere e a studiare. A conoscere, in buona sostanza. L’utilità del sapere farà scaturire di conseguenza l’utilità dell’azione. Quante volte si ripete come un mantra l’adagio “Prima di azionare la bocca assicurarsi che il cervello sia in funzione”? Ma ci interroghiamo sul contenuto del cervello? Cosa c’è dentro la ‘scatola grigia’? Cosa ci abbiamo messo? La cultura della mente viene prima dello studio professionale e scientifico, nella convinzione che gli uomini istruiti possono fare ciò che non possono gli incolti.

E allora i social.  

Cosa sono i social se non lo specchio del sapere contemporaneo?

Cosa ci abbiamo messo nei cervelli che animano il dibattito social contemporaneo?

Ma soprattutto: dato che i social stanno diventando strumenti per i ‘maggiorenni’, questi cervelli ‘maggiorenni’ come sono stati alimentati?

Se proviamo a fare questa riflessione, forse, giungiamo alla conclusione che il demerito – se c’è – è di chi, nella storia dell’uomo, ha puntato sull’utilità materiale, considerando le braccia e non la testa. Puntando volontariamente a quella condizione sociale che vede le menti nelle posizioni di guida e ‘gli altri’ nelle posizioni di esecuzione. La forbice – chiamiamola – intellettuale ha regolato il fenomeno delle classi sociali e la conseguente lotta per il riscatto umano derivante dal rifiuto di un’etichetta. Quanti figli di notabili e capitani d’industria sono poi caduti nella depressione del fallimento, e quanti figli di nullatenenti, invece, si sono evoluti in raffinati pensatori o imprenditori?

Antonio Gramsci fu un falco nell’osservare le dinamiche sociali e a profetizzare una società utopistica in cui tutti (cioè proprio tutti) potessero e dovessero ambire all’istruzione per ambire a un ruolo di governo. Quello che Gramsci, probabilmente, non aveva considerato è il fenomeno dell’alibi o della vocazione. Non tutti sono geneticamente programmati per la stessa missione. La diversità vera risiede nella storia del patrimonio culturale formatosi nel singolo individuo che si somma a quello ereditato, e che non può – per ovvie ragioni – essere il medesimo per tutti gli esseri umani.

E allora di nuovo i social.

Perché uscire da facebook? Cosa accade dentro facebook tanto da indignare o da allontanare? Sono gli urlatori e gli odiatori (gli haters). Quelli che si sono ‘tenuti dentro’ per molto tempo i soprusi (o i presunti tale) e che adesso hanno la possibilità di gridare al mondo il loro disappunto. Sono quelli non abituati (o educati) al confronto che per farsi sentire devono alzare la voce (spesso prevaricando l’interlocutore o fraintendendo il senso dei ragionamenti): in questo caso è evidente il limite culturale. Ma con chi prendersela?

I social sono oggi quello che ieri era la piazza urbana (il luogo fisico). Allora il politico faceva il comizio e il popolo doveva ‘solo’ ascoltare (e magari commentare successivamente, a modo proprio, i contenuti del discorso con pochi intimi), oggi il commento (e spesso l’insulto) parte in contemporanea.

Tutto è istantaneo.

Chi si sottrae al ‘martirio’ dei social? O chi sceglie di non entrare nell’agorà digitale?

Quelli che non amano la rissa. Le persone quiete. Quelle ragionevoli e democratiche che hanno imparato a rispettare le opinioni altrui o che sanno argomentare con i contenuti e non replicare come pappagalli.

Quelli che però, dovranno pur prendersi l’onere di contribuire all’istruzione di massa. Occorre solo trovare una strategia. Ma la storia, peraltro, insegna.

via “Basta, esco da facebook”. Quelli che si arrendono e scappano “dalla rissa” dei social — Maxima notizie