BRINDISI DI MONTAGNA – BRINDSI MAJOR
Una comunità lucana di origine arbëreshe
Tratto da:Onda Lucana® by Kosta Costa Bell
Questa comunità si trova nella zona dell’alta valle del Basento a 800 metri s.l.m. nella parte centro-settentrionale in provincia di Potenza. L’abitato si stende da sud a nord, da S. Vincenzo a S. Giacomo, sul dorso di una montagna rocciosa; sale, poi, a 850 metri dove si trova il castello con la torretta alta m. 7,50. È di origine albanese, popolata dai Coronei, le cui tracce oggi si trovano in qualche toponimo (via dei Kroiesi) e nei cognomi (Beccia, Manes, Musciacchio, Plescia, Prete, Rennisi, Scura, ecc.) poiché la lingua arbëreshe, purtroppo, si è estinta.
Ha un antico castello, nato come fortificazione, che ha una struttura compatta e massiccia; è una figura tozza e quadrangolare senza torrioni, con cortine e merli e con una torre isolata: tutto ciò ricorda un’abitazione medioevale dei primi tempi, in seguito adibito a ritiro. Si vorrebbe far risalire la costruzione al IV secolo dell’era volgare, ai tempi, cioè, di decadenza dell’impero romano; ma c’è chi lo fa riferire a qualche secolo dopo, mentre altri lo fanno risalire al 1240, come risulta negli Statuta Officiornum emanati da Federico II di Svevia in cui è riportato il castello di Brindisi di Montagna come Castrum Brundusii de Montana.
Il castello fu dall’epoca delle signorie, da Carlo Magno in poi, un luogo di convegno dei coloni che, tenuti sparsi nei dintorni, s’incontravano in esso per compiere atti di omaggio, di sottomissione e per pagare decime e terraggiere. Sono poche le fonti documentali a riguardo. Nel 2018, dopo un lungo e costoso intervento di restauro, il castello ha riaperto i battenti ed è ora possibile visitare ciò che ne resta.
Nel 1475, come risulta da un libro di reintegrazione conservato nell’archivio della Regia Camera, il territorio era disabitato e boscoso, ma dopo la conquista di Kruja (1478), da parte dei turchi, dieci anni dopo la morte di Skanderbek, arrivarono i profughi albanesi nel medesimo territorio. Gli esuli albanesi provenivano dalla regione della Morea, attuale Peloponneso e ricostruirono e ripopolarono l’abitato, abbandonato e spopolato da molti secoli.
Per volontà del feudatario di Brindisi di Montagna, Pietro Antonio Sanseverino († 1559 Parigi), nel 1536 giunsero nelle terre abbandonate di Brindisi Montagna altre 30 famiglie di profughi di Corone, guidati da Lazzaro Mathes (o Lazaro Mathes), condottiero di nobile famiglia albanese e capitano degli stradioti (soldati albanesi), dove ricostruirono il paese alle pendici del Castello.
Brindisi di Montagna ebbe anche la badia dei monaci basiliani di rito greco, poi abbandonata e donata dai principi Sanseverino ai monaci della Certosa di Padula. Eretta, in seguito, a Grancia di San Demetrio nel 1503, divenne una grande azienda rurale condotta da monaci laici, raggiungendo il suo massimo splendore nel Settecento. Soppressi gli ordini monastici nel 1806, la Grancia fu acquistata da privati e poi rivenduta al Demanio verso il 1925. Il feudo di Brindisi, poi, passò dai Sanseverino ai D’Erario, agli Antinori, ai Battaglia e, da ultimo, ai Fittipaldi.
Nel 1799 anche Brindisi di Montagna, come scrive Andrea Pisani, dall’Albania a Brindisi di Montagna all’Italia, partecipò ai moti liberali, capeggiati dal sacerdote Don Fabrizio De Grazia, erigendo l’albero della libertà in piazza. Dal 1860 al 1864 bande di briganti infestavano i boschi circostanti: il 2 novembre 1861, grazie a un’ improvvisa coltre di nebbia che ammantò il paese, i brindisini furono risparmiati dall’incursione delle bande di Crocco, Borjes e Serravalle.
La chiesa madre, costruita su resti di una piccola chiesa di rito bizantina, è intitolata a San Nicolò di Bari, santo patrono, santo glorioso e universale della chiesa orientale ed occidentale, e furono i Coronei a rappresentarlo nella statua, di cui si ignora l’autore e la provenienza. È la chiesa madre e fu riedificata dalla volontà piena e dal fervore del popolo, poi completata verso il 1627. Il Principe di Bisignano volle offrirle una sua contribuzione e dal 1628 essa poté avere sacerdoti propri: greci, ma cattolici. Come si vede, l’altare maggiore è rivolto, secondo il rito, ad oriente, verso il portone di attuale ingresso: l’entrata prima era a occidente, nell’arco del presbiterio. Si deve, principalmente, all’ottimo arciprete Don Gerardo Amati (1627) l’ingrandimento e la trasformazione in cattedrale. Egli, in vero, fece costruire il cappellone sull’altare maggiore e dalle fondamenta le navate laterali o bracci, poi dispose ed effettuò il cambiamento dell’ingresso.
Le altre chiese sono: chiesa della Madonna delle Grazie, chiesa di San Vincenzo Ferreri, chiesa di San Giacomo, la Cappella di San Lorenzo Martire e la Grancia di San Demetrio in Contrada Grancia.
Tratto da:Onda Lucana® by Kosta Costa Bell
Fonte: Si ringrazia Kostandin Bellushi per averci inviato codesto articolo e il materiale media interno.
L’ha ripubblicato su Pina Chidichimo.
Davvero interessante. Grazie. Isabella
La serie dei paesi della antica Arberia sono pieni di grande interesse.
E’ bello venirne a conoscenza. Grazie ancora
Stupenda la Certosa di Padula che ho avuto la fortuna di visitare.
Grazie