Nell’ultimo decennio c’è stato un enorme aumento nel coinvolgimento delle multinazionali nel mondo dello skateboarding e, presto, potremmo trovarci in una situazione ben peggiore di quella da cui Steve Rocco, Mike Vallely, Mark Gonzales e altri cercarono disperatamente di fuggire all’inizio degli anni ’90.
Nuovi membri all’interno della comunità skate, gente come Eric Wiseman, Phil Knight, Herbert Hainer, i Maloofs, Gary Ream, William Sweedler, Neil Cole e Andrew Kline, stanno cambiando ciò che significa essere uno skateboarder e, in un futuro non troppo lontano, potrebbero cambiare anche il modo in cui skateiamo.
Non avete idea di chi siano queste persone vero?
Non che questo sia una colpa, i grossi gruppi commerciali tendono, per loro stessa natura, ad essere grossi ed ingordi organismi impersonali; comunque sia, queste persone (che probabilmente non hanno mai messo piede su uno skateboard in vita loro) sono coloro che stanno – o stavano fino a poco tempo fa – dietro ai capitali di grossi gruppi come VF Corp [Vans], Nike, Adidas, Maloof Money Cup, Woodward, Sequential Brands [DVS], Iconix [Zoo York] e Park Lane Sports Investment Banking [Street League], gruppi che hanno inglobato moltissimi skate brands.
Attraverso il loro capitale economico e il potere che si sono guadagnati in un mondo che è l’antitesi della cultura skate, sono stati in grado di farsi strada e di conquistare posizioni di forza all’interno del mondo dello skateboarding e, adesso, sono coloro che traggono maggiore profitto dalla nostra attività.
In un interessante articolo apparso qualche anno fa sullo skate magazine americano Jenkem magazine ci si chiedeva se avremmo dovuto preoccuparci del fatto che dei non skater abbiano assunto posizioni chiave all’interno della nostra cultura, se avremmo, inoltre, dovuto interessarci al fatto che gli skaters venissero associati con questo certo tipo di persone e se, alla lunga, questo soffocante abbraccio con il capitalismo sfrenato avrebbe potuto cambiare il modo in cui ci vediamo e il modo in cui, come skaters, concepiamo il mondo.
Abbiamo ritenuto interessante riproporvi parte della loro, condivisibile, analisi integrandola con nostre esperienze peculiari.
La risposta alle domande di cui sopra è – anche per noi – ovvia, certo che dovremmo preoccuparci; come skater condividiamo tutti quanti uno spazio sociale e nessuno di noi esiste nel vuoto, isolato dagli altri e dal mondo (in qualche modo tutte le nostre azioni riguardano la cultura dello skate nel suo complesso e ogni skater al suo interno); e , all’interno di questo spazio sociale condiviso, le nostre azioni collettive hanno prodotto, negli anni, un humus culturale nel quale sono fondamentali – tanto quanto l’atto stesso dello skateare – la creatività, l’autonomia, la cooperazione, il divertimento e un certo tipo di atteggiamento anti mainstream, che comprende anche aspetti paralleli alla nostra cultura quali la musica. Questi “valori” costituiscono quella che, per decenni, è stata l’ideologia dominante all’interno dello skateboard, un’ideologia che ha modellato le nostre identità in quanto skater, la nostra visione del mondo e il modo in cui agiamo al suo interno.
Ma da quando sempre più multinazionali sono entrate nel nostro mondo, esse si sono impegnate a cambiare sia l’ideologia dominante sia la maniera stessa in cui si skatea, in qualcosa che gli permettesse di raggiungere razionalmente il loro unico scopo: la ricerca del profitto.
Per chi – come lo scrivente – sta dentro la scena da quasi trent’anni questi “patetici” tentativi possono avere soltanto il risultato di un’eccessiva e continua produzione di bile, ma non riescono ad intaccare un’identità culturale ormai ben formata e solida; il problema però è che stanno avendo successo impattando sulle nuove generazioni e cambiando l’ideologia, lo spazio e l’economia dello skateboard per i più giovani, allontanando gli skater più anziani da un mondo sociale che hanno contribuito a creare e mantenere fino a quando è stato invaso e venduto a degli estranei.
Molte di queste aziende stanno tentando gestire lo skateboarding con gli stessi principi che guidano molte aziende moderne, principi che sono completamente incompatibili con lo skateboard così come lo conosciamo.
Come sottolinea George Ritzer in The McDonaldization of Society, le aziende cercano di operare in modo estremamente efficiente. Si concentrano sul rendere tutto quantificabile (skatemetrics) piuttosto che concentrarsi sulla creazione di qualità soggettiva, vogliono che tutto sia prevedibile (cioè standardizzato, la stessa esperienza ogni volta) e vogliono che tutti gli aspetti di un’azienda o di un’attività siano facilmente controllabili, fondamentalmente l’antitesi di ciò che lo skateboard è sempre stato.
Poiché i valori delle società sono quanto di più lontano ci sia dallo skateboard e, ciononostante, quelle stesse società stanno riuscendo ad influenzare le idee dei singoli skater, è probabile che, in un futuro non troppo lontano, riusciranno a cambiare radicalmente la nostra amata disciplina. Lo skateboarding non sarà più l’attività che tutti conosciamo oggi, ma avrà un’ideologia e una performance simile a quella del calcio o di qualsiasi altro sport professionistico.
Se le corporation continueranno ad avere influenza all’interno della nostra cultura, la forma principale dello skateboard si sposterà definitivamente dalle strade – dove è difficile controllarla o trarne profitto direttamente – nello spazio ristretto degli skate park.
Il fenomeno è così preoccupante che anche il mondo del longboard skate, intrinsecamente legato alle strade, ne sta venendo pesantemente influenzato, tanto che, da più parti, cominciano a nascere pumptruck e circuiti chiusi simil park.
E tutto questo intacca anche aspetti apparentemente marginali come il mondo della produzione degli skate video, che stanno letteralmente venendo cacciati via dalle strade. Perché spendere i soldi per inviare un team a skateare le strade di Barcellona, quando puoi filmare uno skater per un paio di giorni nel park dietro casa e avere il tuo logo visto in tutto il mondo su youtube?
Così, col tempo, sempre più skater smetteranno di agire in maniera inefficiente, ma geniale e creativa, creando tricks, scoprendo nuovi spot e girando video e cominceranno a muoversi in modo efficiente e competitivo nel mondo altamente prevedibile, standardizzato, quantificabile e controllabile dei mega-contest.
In questo tipo di nuovo mondo sociale ci sarà sempre meno spazio che uno skater possa impiegare per stare da solo a spaccarsi le ginocchia provando nuovi tricks, perché questo atteggiamento non è considerato efficiente.
Una forte presenza aziendale all’interno della nostra cultura cambierà anche – e, in parte, ha già cambiato – l’economia dello skateboarding. Come abbiamo visto negli ultimi sette anni, la presenza di Nike e Adidas ha intensificato il numero di società di scarpe da skate di proprietà di skater che hanno cessato l’attività, il che limita la capacità degli skater di influenzare lo skateboarding.
Le società di proprietà degli skater si trovano in gravi situazioni economiche non a causa di fluttuazioni naturali all’interno del mercato dello skateboard, ma a causa dello squilibrio di potere economico all’interno dello skateboard che si è venuto a creare.
Oltretutto, per le grandi compagnie, il nostro mondo non è niente altro che un tassello del loro potere economico, le aziende apprezzano le società di skateboard e gli skaters soltanto in relazione a quanto capitale possono generare per un gruppo di azionisti, invece di considerarle come parti importanti di una cultura. Nel mondo dello skateboard aziendale, i brand e gli skater sono semplicemente merci che devono essere comprate, sfruttate e poi gettate via.
In buona sostanza, se le multinazionali continuano ad aumentare il loro peso sullo skateboarding, le conseguenze per lo skateboard in termini di cultura, spazio ed economia saranno enormi.Thanks to Jenkem Magazine for inspiration and the original source
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