Cronache dell’estate.

Tratto da:Onda Lucana®by Ivan Larotonda

Ora che l’estate sta finendo è d’uopo, come suol dirsi, tracciare un bilancio. Nella fattispecie ci tocca, ob torto collo o meno, occuparci della situazione lucana nel volgere dell’anno solare. A parte i soliti incendi boschivi o di sterpaglie generiche, tradizione ancestrale delle contrade lucane, specie dell’area Nord, chi ha rubato la scena, decisamente, è stata senz’altro la situazione Stellantis-ex FCA-ex FIAT-SATA. Già dall’enunciazione di tutte queste sigle per un solo complesso industriale la dice tutta sulla crisi del comparto non solo automobilistico, bensì dell’intera produzione regionale, ma anche nazionale, ma anche europea, ma anche dei tutto il blocco geopolitico USA-UK-UE, in una parola NATO. In effetti pare sia diventata la cosa più ardua riuscire a conservare il lavoro, vero, in quest’angolo di mondo definito, con l’understatement oltremisura, semplicemente Occidente. Se escludiamo le innumerevoli sagre sui prodotti tipici tratti da qualsiasi terreno di Basilicata; sia esso grasso e bruno o più sovente tufaceo-argilloso (impreteribilmente ex malarico) non c’è più niente che possa essere definito produzione locale. Certo, si dirà che il destino manifesto fin dall’apparire dell’uomo in queste contrade sia stato il settore primario, ed è un vanto non da poco, anzi il migliore. Però, quanta nostalgia per una nuova tradizione che s’era consolidata nel corso di soli tre decenni?

D’altronde ogni tradizione fu dapprima cosa nuova (lo diceva anche l’imperatore Claudio), anche quando e spesso s’è mostrata ostile. In effetti quanti, quelli della mia generazione se lo ricordano bene, asserivano nei primi anni ’90 che la FIAT “stonava” nel contesto generale dell’economia lucana! Chi scrive è senz’altro partigiano del mondo agrosilvopastorale, nel senso di cultore di quelle epoche di sacrificio immane. Ma, sinceramente, l’avvento della fabbrica automobilistica nazionale riempiva d’orgoglio molto più delle pur numerose e a tratti feroci opposizioni all’installazione dello stabilimento. Ricordo che ci portavano a “fare gli scioperi”, contro l’inceneritore che sorgeva accanto all’opificio automobilistico. Quante idiozie si fanno in gioventù; certamente a me piaceva l’oceano di biondo frumento in quel di S. Nicola di Melfi. Eppure, è bello osservare anche la teoria di veicoli appena “sfornati” di vernice fiammante, incastellati nei carri del treno che, uscendo dalla fabbrica, si avvia per le pianure daunie.

Alla nostalgia per il grano che non c’è più potrebbe dunque sommarsi anche quella per le bisarche, su binari o gomma, che rischiamo parimenti di non vedere più. Quel che poi fa ancor più rabbia è lo stato di regressione, autentica, data dalla perdita di conoscenze in questi campi di alto livello ingegneristico. Lavorandoci, sia pur per pochi anni e da interinale (altra parola magica inventata dai faustiani soggetti di borsa), ho constatato manu propria l’alto livello della robotica italiana, della qualità eccellente degli acciai nazionali, anch’essi prodotti dal meridione, a Taranto; e soprattutto una moltitudine di persone che hanno dato tanto alla Nazione.

Operai che hanno continuato l’opera dei padri e in molti casi dei nonni, recatisi nel secondo dopoguerra in quel settentrione a far grandi gl’impianti industriali che squadra e compasso avevano deciso, nell’’800, di costruire solo ai piedi delle Alpi. Quand’ecco che ora, nel 2023, Carlo I Angiò si ripresenta nel meridione, a rinnovare le antiche espoliazioni di quel che abbiamo. Si tenga bene in mente che mai hanno fatto, “li franzosi”, i loro espropri senza l’acquiescenza, indifferenza o peggio ancora tradimento manifesto, d’una cospicua parte degl’italiani. Non è mia competenza stabilire cosa sia successo in questa circostanza; le cose certe sono queste: Gli operai di S. Nicola di Melfi sono inviati in Francia, ad addestrare quelli che a breve li sostituiranno; oppure a Pomigliano, mentre i locali stanno in cassa integrazione. Così, nel mentre i sindacati cercano fascisti col lanternino, l’ordo ab chao è servito, nuovamente. Mi chiedo allora, tornerà il grano, o resterà il paesaggio da film apocalittico fantascientifico? Temo la seconda, perché ancora una volta non si crede al timeo danaos (in questo caso da sostituire con gallicos) et dona ferentes.

Tratto da:Onda Lucana®by Ivan Larotonda

Si ringrazia l’autore per la cortese concessione. Immagine di copertina tratta da Web.

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