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Immagine tratta da repertorio Web

Tratto da :Onda Lucana by Ivan Larotonda

Delle fatiche antiche e nuove.Discorsi sopra l’arte della guerra “all’italiana”

(parte seconda)

Non è casuale come proprio durante l’età imperiale si registri un ulteriore diminuzione degli italici negli altri corpi militari, ad esempio nella cavalleria, o tra gli arcieri e i frombolieri; questo, proprio perché i peninsulari erano preferibilmente impiegati nella fanteria pesante legionaria, dove erano la stragrande maggioranza, perché avevano le caratteristiche sopra menzionate.

Ancora durante l’età di mezzo i comuni italiani opponevano la salda fanteria comunale alla superiore velocità e forza d’impatto delle cavallerie feudali franco germaniche, Legnano docet.

L’italiano vince perché conosce il sacrificio, lo sopporta, faticare gli è naturale; ecco spiegata la, (oggi fin troppo denigrata), vanteria degli italiani popolo d’eroi. E’ stata questa sindrome della sopportazione della fatica a giustificare le miriadi di imprese compiute da singoli e comunità di questo popolo. Un ultimo aspetto che voglio presentare a conferma di questa specialità italiana, la volontà di resistere oltre ogni limite, risiede in un invenzione che ha cambiato la storia non solo militare. Gli antichi castelli, alti il più possibile per vincere le scalate del nemico, e costruiti con mura che dovevano resistere alle bordate di macchine da lancio a corde torsionali, con l’entrata in scena delle armi da fuoco cominciarono il loro declino. Fu così che l’antico mondo cavalleresco feudale si sgretolò letteralmente sotto i colpi dei volgari fantaccini, che imparavano in fretta ad usare dei semplici ma micidiali cannoni, colubrine, mortai. Ancora una volta, chi poteva inventare qualcosa che fosse in grado di reggere alle cannonate se non gli esperti della difesa ad oltranza? Infatti proprio in Italia e dagli ingegneri indigeni, fu inventata la fortezza moderna. A partire dal XVI secolo, nel bel Paese prima, (la Ferrara degli Estensi sarà riconosciuta già a quel tempo la prima città moderna, per via dei suoi nuovi modelli architettonici militari), e nel resto d’Europa poi, ci tengo a precisare, sempre progettate dagli italiani, si costruiscono e diffondono le nuove fortezze; bastioni a pianta stellata, con muri bassi e spessi, in modo da resistere alle bordate scagliate dalle macchine da fuoco, ma anche pieni di spigoli acuti e rientranze per deviare le palle di cannone. Dai francesi, in ogni epoca invidiosi e frustrati dalla competizione puntualmente persa nei confronti degli italiani, questa fortezza nuova venne chiamata trace italienne. Era l’emanazione architettonica più peculiare di un modo di vincere che solo gli italiani sanno ottenere, resistendo.

Sul perché poi la gente della penisola italiana, praticamente fin dall’alba dei tempi, abbia maturato questa immensa forza di volontà nella difesa, ovviamente non possiamo formulare altro che ipotesi delle quali, quella che azzarderei come fondamentale, risiederebbe nel fatto di essere un popolo di antica origine agricola. Analizzando la figura del contadino, antico ovviamente, subito ci viene in mente il duro lavoro nei campi unito alla pazienza proverbiale di chi deve attendere il “risultato finale” del raccolto; così, vivendo tra fatica e speranzosa attesa si finisce col maturare geneticamente una predisposizione al sacrificio e alla sorte. Sembra quasi di ascoltare l’eco di Cicerone quando in pratica faceva intendere che i romani erano stoici prima che Panezio,  (il primo maestro di questa scuola giunto a Roma), sbarcasse in Italia. Caratteristiche che non si riscontrano nei popoli di allevatori, nomadi e seminomadi, predoni nati e per nulla votati al sacrificio, che vogliono tutto e subito. Di qui anche la nascita dei grandi organi statali proprio tra gli agricoltori.

Effettuando un paragone, per meglio comprendere la portata storica di tali “caratteri delle genti”, scopriamo che chi, nel resto del mondo, per spirito è “gemello degli italiani”, sviluppato però su scala smisurata, è il popolo cinese. Anche loro grandi agricoltori e pazienti costruttori di titaniche imprese militari e civili, ma anche in questo caso l’italiano stacca gli abitanti della Cina per superiore volontà individuale, che moltiplicata per il resto della popolazione ha dato vita al sistema repubblicano, (l’esatto opposto di oggi dove l’individualismo senza Stato, creatura dei liberal, ha cancellato l’identità comune). La gente d’Italia ha vissuto di agricoltura libera per gran parte della sua esistenza storica. Il feudalesimo, che ha dominato ininterrotto l’intero resto del mondo, (compresa la Cina), qui non vi ha attecchito che in minima parte e per limitati periodi; e dove la terra che si lavora non soltanto sostiene la popolazione ma è anche sua proprietà materiale, naturalmente troverà come suoi abitanti dei perfetti contadini, coloni, soldati, inquadrati in un sistema cittadino che vigilerà sempre sulle baronie feudali, sostenendo la libertà fondiaria dei piccoli proprietari.

In questo risiede la grandezza del sistema repubblicano e cittadino! In Italia sempre ripresentato in tutte le epoche, resistendo anche a tante invasioni straniere; conoscendo il suo periodo più florido proprio all’indomani della fine della guerra punica, trainandosi seco, come sua naturale emanazione, il sistema coloniale, soprattutto applicato ai veterani. Di qui l’esplosione demografica degli italici, che in numero di oltre mezzo milione di ex combattenti furono inviati a sorvegliare e presidiare aree che andavano dall’Anatolia alla penisola iberica, dalle Gallie all’Africa settentrionale; quanta differenza con l’oggi, da De Gasperi che pagava il carbone belga e tedesco con le braccia dei minatori italiani, ai centomila giovani che si levano dai piedi e fanno contento Poletti. E poi tutti questi sapienti cinti d’arcobaleno sfoggiano pure la faccia di bronzo di parlare, in senso spregiativo, di nostalgici del nazionalismo! Come se fosse un orrore amare il proprio prossimo, quest’ultimo nient’altro che i nostri concittadini. Che eresia nei nostri tempi parlare di queste cose. Si sente già urlare: “Al rogo, al rogo!” Novello coro simil verdiano uscito dai giovani petti degli “apatridi” dell’Erasmus.

Tratto da :Onda Lucana by Ivan Larotonda