Presentazione, ed a seguire la poesia:
DIMORE PERDUTE di Domenico Friolo.
È una poesia gemella con un’altra mia poesia, “OMBRE DEL TRAMONTO”.
Forse è l’unico caso di poesie gemelle.
Sono scritte con parole diverse, ma racchiudono la medesima storia, le medesime emozioni che insieme ho vissuto e che tramando ai tanti che hanno vissuto in modo simile la lontananza dal luogo di nascita, quale testimonianza del secolo passato.
Il triste dipartirsi per altro-vi lidi, per lavoro e per disporre di un tozzo di pane, non giova all’animo di nessuno.
Se poi, è tutta la famiglia a dipartirsi: poco è quel che si guadagna, molto è quel che si perde, ad iniziare dagli affetti e poi dal concreto, come la casa. A volte è l’abbandono, in cui la distanza, fa scivolare, o addirittura costringe.
A volte è destino infame, a cui, non si può opporre, come malattie che relegano all’immobilità fisica per un lungo tempo o in modo perenne, che pongono al di fuori della propria volontà e desiderio, situazioni di impotenza ad azioni a contrastare, a ravvivare l’utilità di ciò che ha lasciato andare, dipartendosi dai luoghi di origine.
E se non è opera della natura, saranno sciacalli ad approfittare di quello lasciato un giorno lontano.
A tale proposito, scrissi questa commovente poesia, premetto che è storia vera, a me capitata, quindi immaginate con quale stato d’animo scrivevo di questo. Il mio, non è stato abbandono voluto, ma imposto da gravi disagi fisici, col tempo, parzialmente appianati.
Ed ecco la poesia, che immortala tempo, cose e uomini, una lirica tratta dal vero.
DIMORE PERDUTE
Tratto da:Onda Lucana® by Domenico Friolo
Ed eccolo…il viandante.
Scorge i silenziosi malinconici uccelli,
racchiusi nelle loro ali, stanno immobili,
all’ombra di tegole arse dal sole,
osservano sotto di loro, un geco:
sgraziato, mutolo rettile solitario.
Osserva la flora tenace, coriacea,
invadente, che, dagli orti ai cortili
varca usci , s’addentra nelle case,
sfonda solai, guadagna davanzali,
s’affaccia alla finestra,
sventolando la sua vittoria.
Il viandante, guarda gli uccelli,
confusi dalla sua presenza.
Sotto di loro, un arco di pietra,
sostiene una scala sconnessa
con ossidati rottami di ringhiera
in ferro battuto,
arte e lavoro di un vecchio fabbro.
Quì i muraglioni, simili a bastioni,
sostengono lastricati di petrolla,
senonché, veri baluardi, a protezione
dalle pericolose, profonde ripide coste,
con timpe rocciose e dure a far paura:
dal Ruggero vanno sù, per il Cervaro.
La chiesetta del Carmelo, bianca
silenziosa attende una folata di vento
che dia voce al rintocco
della sua unica campana.
Ed è là, che viandante si ferma,
il suo sguardo é più attento,
la mente raccoglie ogni particolare,
a cui, ad ognuno, egli, sussulta, trepida,
mandando giù quel nodo soffocante,
pressante, amaro che attanaglia, la gola.
Il viandante è di fronte alla sua casa,
ai tanti suoi ricordi, alle sue radici.
Ripassa nella mente, il volto di sua madre,
di suo padre, dei suoi fratelli,
dei suoi cuginetti, con i loro infantili giochi…
Arido destino, che versò già, in passato
tutte le lacrime, eppure non bastanti
ad alleviare ferite dell’angoscia interiore,
nemmeno a cercarle per l’ultimo pianto.
Il viandante si raccoglie in se stesso,
muove il passo scomposto dagli anni,
si allontana lentamente con tanta pena.
Lo seguono gli uccelli con brevi voli
ora fanno udire il loro malinconico trillo,
sono su di lui, come a porgergli l’addio…
Il viandante, dà un ultimo sguardo
per porre, indelebile,
l’ultima immagine nella mente,
purtroppo, con quella…
anche, ultima croce nel cuore.
Tratto da:Onda Lucana® by Domenico Friolo 07/2006
Foto di copertina tratta da repertorio Web si ringrazia l’autore.
L’ha ribloggato su Pina Chidichimo.