Esce il terzo lavoro letterario di Ivan Larotonda; “Rionero Antiqua“.
Presentazione Rionero Antiqua – Note Biografiche
Ivan Larotonda è un maestro d’arte che, nel corso della sua pluridecennale attività ha realizzato opere in varie tecniche: dallo sbalzo e cesello alla pittura, alla ceramica e al disegno in carboncino e china. Sua peculiarità è l’illustrazione a carattere storico: la ricostruzione figurativa, rigorosa, dell’evento narrato. Perciò ha corredato diversi documentari e volumi. Da appassionato, svolge numerose ricerche sulla storia locale.
Collabora con il sito di Onda Lucana, come autore/redattore ordinario; scrivendo articoli sulle comunità e tradizioni di Basilicata. Coautore del volume “Carmine Crocco, biografia illustrata (1017)“; autore del romanzo storico “Si Vis Pacem” (2021); “Rionero Antiqua” è il suo terzo lavoro letterario che nasce dall’interrogativo sul passato della cittadina natale.
Sinossi
Nello specifico, dalla seguente domanda: perché solo nel 1152 era stata nominata per la prima volta Rionero? L’ovvia risposta era che esso non esisteva precedentemente. Ma, qualora non fossero più disponibili documenti antecedenti alla suddetta data, in cui potrebbe essere stato nominato, sarebbe comunque esistito altro in quel sito che sarebbe diventata la città fortunatiana. Quest’altro è rappresentato da vari fattori.
Innanzitutto dall’appartenenza dell’intero Vulture alla rete ancestrale della transumanza, che sarebbe ancor meglio definirla della “Mena delle pecore”. E in effetti la regina dei tratturi appenninici risulta transitante proprio ai piedi del vulcano spento; nominata via Herculia dal tetrarca Massimiano Erculio, ripristinatore del tracciato arcaico (nel tardo terzo secolo dopo Cristo) essa ha accolto l’economia agrosilvopastorale di una buona parte della dorsale montuosa della penisola italica.
Si è trattato di incanalare quella che era la grande industria del mondo arcaico; logico dedurre che la pastorizia originava un indotto produttivo in cui si lavoravano le lane, i formaggi e le carni. E non era tutto; ruotavano poi, intorno ai grandi spostamenti di uomini e greggi, le botteghe dei vasai e dei fabbri del ferro e del bronzo, quest’ultimo utilizzato dai lucani anche per adornarsi, e perciò divenne il simbolo etnico.
Ecco allora che cominciano a dipanarsi le nebbie sul remoto passato del sito “rionerese” che, rientrante nel territorio della colonia venosina, ne seguiva le sorti socioeconomiche. Tuttavia, la fortuna del territorio non si limitò esclusivamente alla pastorizia; soprattutto in base alle ricerche archeologiche, che nel volume sono citate, s’evince un’esuberanza nella produzione cerealicola che tra l’altro ancor oggi il Vulture ostenta. E fu tanto sentita la cultura cerealicola da rientrare nella sacralità legata alle divinità agricole, di stampo sannita e migrate come tutto il resto nel mare magno della romanizzazione: quest’ultima è poi da vedere come raccoglitrice e custode di tutte le tradizioni italiche.
E in loco si registra anche l’innovazione nella lavorazione dei cereali, fatta di ruote di mulini ad acqua che proprio a partire dal II secolo d. C. cominciano a tuffarsi con prepotenza maggiore nei fiumi e torrenti dell’Impero romano. Il Vulture non era dunque escluso da questa piccola rivoluzione industriale, le ricerche ultime svelano sempre più i resti di queste macchine, che hanno lasciato il nome anche in diversi siti.
Lo stesso fiume di Rionero, nel suo tratto finale, quand’è prossimo a gettarsi nella fiumara di Atella (affluente di destra dell’Ofanto) assume il nome di Levata (l’azione dell’elevare è all’origine dell’etimo suddetto), identicamente a un canale sulla fiumara di Venosa; in entrambi i casi si tratta di corsi d’acqua che ospitavano mulini, per l’appunto di macchine di sollevamento delle acque. Tanta era la forza produttiva da richiedere l’installazione di costosi, dopotutto, marchingegni idraulici per la macinazione del grano.
Con Rionero Antiqua, in definitiva, si rende giustizia a una ricchezza del settore primario che si stenta a credere se ci si limita alle analisi dei positivisti di fine ‘800, in mezzo ai quali inseriamo tranquillamente Giustino Fortunato, che vedevano nella malaria, i terremoti e le frane il segno del fallimento meridionale. Penisola protesa all’Africa piuttosto che legata all’Europa e che si sarebbe “redenta” solo col regime liberale; in linea con il progressismo, tipico della city londinese, che vede nel mondo contadino miseria e rassegnazione. Ben guardandosi però dal vederne le cause di quella vastatio, che risiedono proprio in quel mare magno della rivoluzione liberale che, manu militari, giunse nel meridione a partire dal 1860 e che svuotò i campi di uomini: d’ora innanzi briganti o migranti. Diametralmente opposte alle teorie borghesi, ecco che ritorna la dicotomia città-campagna, lo scorrere del tempo è ciclico, non certo lineare, e di questo n’erano ben consci gli antichi contadini di cui il volume parla. D’altronde è proprio nei campi e appresso alle greggi che si vede il rinnovarsi della natura ad ogni stagione.
E questa giovinezza si vedeva molto più diffusa nell’epoca presa particolarmente in esame (la tarda antichità); infatti, basterebbe guardare ai dati sulla capienza dell’anfiteatro venosino, ben 10.000 posti, con lo stadio odierno più grande di Basilicata, Matera, che ne conta 6.000. Questo vuol dire che la ricchezza, l’augmentum, come dicevano i latini, da qui nasce l’appellativo Augustus (letteralmente colui che fa aumentare) favoriva la crescita demografica. L’economia attuale ragiona all’inverso, guadagna di più se le persone diminuiscono!
E allora Rionero Antiqua è tutto questo, recupero delle radici, ma letteralmente, ossia di quel che sta sotto l’attuale livello stradale. Da qui un viaggio a ritroso che mi ha appassionato e che spero possa fare altrettanto coi lettori; perché il più bel cammino è sempre quello del ritorno a casa.
Fonte: si ringrazia Ivan Larotonda per la gentile collaborazione. Ivan Larotonda: “Rionero Antiqua“. Editore: Photo Travel Editions di Giovanni Marino.
Tratto da: Onda Lucana® Press