Gerardo, il Santo tradizionale – Seconda Parte

Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda

In effetti il fenomeno descritto rientra, ed era così anche prima dell’avvento di Nostro Signore Gesù Cristo, tra le qualità proprie degli illuminati; ma di quelli veri, non dei massoni alla Weishaupt!

Bisogna risalire all’India vedica per comprendere l’origine di tale potenza mistica espletata.  Il calore che le mani di S. Gerardo emanano e che raggiunge una temperatura in grado di contorcere le grate, veniva definito tapas, un termine sanscrito che vuol dire per l’appunto calore, (tepore deriva da quest’antico tapas). Testimonianze scritte presenti già nel RgVeda, (una raccolta in sanscrito vedico di testi sacri dei popoli arii che invasero l’India intorno al XX secolo a. C.), presentano lo sviluppo di calore a seguito di automortificazione o austerità, che portano il praticante all’estasi, al raggiungimento dello stato di yogin o  tapasa. Messo in correlazione con il culto del soma, l’aggettivo tapasvin vuol dire “rovinato”, “povero”, misero”, ma anche asceta, praticante austerità.

Nella tradizione yogica tapas è tradotto anche come “energia essenziale”. Come frutto dello sforzo essenziale al raggiungimento della purezza corporea e spirituale. Nello Yoga Sutra di Patanjali l’esercizio del tapas comporta un’autodisciplina a cui ci si sottomette per raggiungere uno scopo. La pratica dello yoga è in effetti tutt’altro dalla ennesima banalizzazione americano-modernista: roba da segretarie frustrate o fricchettoni in cerca di notorietà. Lo yoga è pratica seria, tradizionale, degna dei Santi! Ed in effetti il termine è, come tutti quelli che parlano di sacro, intimamente legato al mondo arcaico sanscrito-vedico: dall’India, yoga, all’Italia, iugum. Laddove entrambi i termini scaturiscono dal sanscrito che indica unione a Dio: Iovis-ego, Dio e l’io.

Un mito induista narrato nel Mahabharata, (poema epico scritto in sanscrito nel IV secolo a.C. ma che descrive eventi risalenti al XXXII secolo a.C.!) narra di Arjuna, un eroe che per vincere il male, in quanto è rappresentante dell’ordine cosmico, lascia moglie e fratelli, percorre le pianure indo-gangetiche fino ad arrivare all’Himalaya per poi superarlo. Dopo aver viaggiato fisicamente si dedica successivamente al viaggio spirituale, per cui esegue tapas in una radura. La sofferenza, la penitenza e il digiuno lo portano a saper restare in punta di piedi per un mese intero: la sua è dunque una levitazione. Da questo momento in poi la vicenda però si fa decisamente più drammatica; infatti Arjuna riceve le visite di Siva, che arriva a ridurlo in poltiglia dopo un combattimento feroce. Quest’ultimo è dopotutto un Dio, che però, dopo aver annichilito l’eroe si muove a compassione, per cui resuscita Arjuna e gli regala addirittura un’arma potente; compiuta la sua missione, Siva abbandona Arjuna e va via. Successivamente però arrivano i Lokapas, divinità dei punti cardinali, tre dei quali gli consegnano altre armi, non peritando anch’essi di metterlo alla prova. E’ in quel momento però che Indra, padre di Arjuna, manda il suo auriga Matali a recuperare l’eroe e portarlo in paradiso. Prima però Arjuna deve superare l’ultima prova, resistere alle avances sessuali della bellissima Urvasi. Solo alla fine l’eroe giunge dal padre in Paradiso, assieme al quale combatte e scaccia i demoni dalle dimore celesti. Nicolas Allen sostiene dunque che: “Arjuna è aggiogato alla Indra-yoga e la sua tapas è da intendersi come una delle cinque osservanze o “ninjama” elencati come l’“anga” esterna, la sua postura in punta di piedi è una “asana”, e altri riavvicinamenti collegano i progressi dell’eroe o il paradiso con il progresso di yogin verso kaivalya”. L’eroe del mito indiano esegue attività tipiche dello yogin descritto da Patanjali.

La tradizione ci restituisce ancora un ulteriore motivo ricorrente nella figura di Buddha. Costui lascia il padre, la moglie, il figlio e il palazzo a Kapilavastu, per andare a studiare da due maestri; insoddisfatto li abbandona per proseguire il viaggio, superare catene montuose e sconfiggere cinque mostri. Giunto nell’incantevole radura di Uruvilvà pratica austerità estreme per sei anni. Quando è vicino alla morte, gli dei intervengono e così Buddha riprende a mangiare. Successivamente oltrepassa il Gange per visitare i palazzi di Benares o Rajagrha. Anche in questo, gli indologi trovano altre comparazioni col mito di Ulisse e con lo schema proprio di altri eroi e Santi. Abbandono della Patria, agonie, superamento di montagne, fiumi e mari, perfezione interiore previo manifestazioni soprannaturali e ritorno a casa.

Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda

Si ringrazia l’autore per la cortese concessione. Immagine di copertina tratta da Web.