
In questi giorni si è tornati a parlare di quello strano e astratto concetto che è la Net Neutrality, idea che in qualche modo diamo tutti per scontata quando ci interfacciamo con il vasto mondo di Internet. A volerla rendere semplice, si può dire che una rete neutrale garantisce che tutte le informazioni viaggino sulle infrastrutture alla stessa velocità, senza che queste possano essere classificate in qualche modo.
Il motivo per cui questo concetto possa sembrare così naturale è perché lo diamo per scontato. Siamo tutti convinti di avere accesso indiscriminato a qualsiasi servizio nel momento in cui ci interfacciamo con il web, ma questo non è sempre vero e non sempre è regolamentato.
La questione Net Neutrality è nuovamente alla ribalta ed è attualmente soggetto di discussione in USA, paese dove la neutralità della rete è stata regolamentata grazie al Title II del Communications Act durante l’amministrazione Obama e dove il cambio al vertice della Federal Communication Commission (FCC), durante l’attuale amministrazione Trump, sta presagendo un cambio di rotta.
Proprio Ajit Pai, a capo della FCC, sta proponendo una discussione sull’eliminazione del Title II e sulla concessione ai fornitori di servizio della libertà di gestire i flussi di dati più liberamente, con lo scopo di permettere la presentazione di nuovi piani tariffari che, in ultimo luogo, permettano alla società di investire sulle infrastrutture per poterle migliorare.
Secondo Ajit Pai, la cui posizione è condivisa dalla maggior parte delle società di telecomunicazioni e anche da illustri esponenti della comunità scientifica, l’attuale regolamentazione che rientra sotto il nome di Net Neutrality impedisce lo sviluppo delle infrastrutture e rischia infine di paralizzare il paese. Una delle possibilità, abbracciate pubblicamente da AT&T (una delle più grandi società fornitrice di servizi di telecomunicazioni), è quella di proporre una versione “standard” e una “premium” di connessione, con velocità diverse e accesso a siti diversi in base alla fascia di pagamento.
Un’altra possibilità in contrasto con il principio di net neutrality è quella di trattare in maniera diversa i dati provenienti da varie applicazioni, magari dando priorità ai flussi di dati di giochi online per evitare disconnessioni o lag oppure stringere accordi con diverse società come Twitter, Facebook o Spotify per evitare di conteggiare il traffico consumato tramite queste applicazioni in quello massimo a disposizione nel nostro piano tariffario.
Se questi esempi non vi suonano troppo estranei, avete ragione. In Italia non era prevista una legge che vietasse questo tipo di comportamento, effettivamente permettendo ai provider (soprattutto mobile) di offrire diversi servizi che non consumino il nostro traffico dati, mentre è sempre stata imposta ai fornitori di servizi la massima trasparenza rispetto alle loro politiche aziendali riguardante la gestione dei dati.
Dal 28 luglio 2015, però, è stata introdotta la Dichiarazione dei Diritti di Internet, dove si parla esplicitamente nell’ art. 4 della Neutralità della Rete. Anche l’Unione Europea ha introdotto, il 27 ottobre 2015, una normativa sulla neutralità della rete, più specifica e dettagliata di quella italiana nelle sue applicazioni ma, anche per questo, con più angoli bui da poter sfruttare.
Perché una discussione sullo sfruttamento di infrastrutture private in un altro paese del mondo dovrebbe interessarci? Perché è la natura stessa della rete che rende questa faccenda di interesse mondiale. Per quanto le possibilità di investimento potrebbero effettivamente essere sbloccate per degli operatori intenzionati a competere per offrire il miglior servizio Premium possibile, è anche vero che gli stessi operatori potrebbero semplicemente rallentare o bloccare il traffico per il servizio Standard, obbligando i consumatori ad una sottoscrizione più costosa per ottenere maggiori guadagni.
Cosa accadrebbe se non fossimo più in grado di accedere a siti americani per via di questa regolamentazione? Non pensate solo a siti generici di informazione, ma anche a siti di giochi online, siti di streaming, siti di conversione file e così via. Nulla impedirebbe di effettuare una vera e propria censura, limitando o bloccando l’accesso a determinati siti o servizi in base alla provenienza delle richieste e questa è la maggior paura dei sostenitori della Net Neutrality, tra cui non ci sono solo organizzazioni umanitarie e esperti del settore, ma anche giganti dei servizi tramite web come Google, Facebook, Amazon e così via.
Saremmo costretti anche noi a sottoscrivere abbonamenti Premium per accedere a siti stranieri? Saremmo costretti a scegliere un provider in base al tipo di siti che vorremo visitare? Forse è meglio restare informati sugli sviluppi della faccenda.
Alessandro D’Amito
Credits: https://obamacarefacts.com/2015/02/26/obama-net-neutrality/
Fonte:https://metismagazine.com/2017/08/04/la-battaglia-per-la-net-neutrality/