NATALIS DIES DOMINI

(Quarta Parte)

Tratto da:Onda Lucana®by Ivan Larotonda

Più dei decreti imperiali e i culti orientali, ciò che nei cristiani suscitò l’urgenza di ribadire che l’unica festa del 25 dicembre era quella del Natale di Gesù fu sicuramente la lotta contro la gnosi spuria e la sua emanazione, particolarmente perniciosa, detta docetista. Una dottrina cristologica fondata sul verbo greco dokéin, (apparire), che strutturava teologicamente una credenza, già diffusa in diverse comunità orientali imbevute di gnosticismo, in base alla quale la materia era ritenuta malvagia, nient’altro che decadimento della purezza spirituale dalla dimensione iperuranica.

La stessa figura corporea di Cristo era giustificata ritenendola fittizia. Secondo Basilide, il vescovo predicatore del docetismo, se Cristo era il Salvatore avrebbe avuto il compito di liberare dalla carne gli uomini, di conseguenza la sua sostanza era solo apparente. Possiamo immaginare come la tesi in questione prospettasse conseguenze sociali devastanti, a cominciare dalla Transustanziazione, che ovviamente non poteva essere più riconosciuta e dunque faceva crollare anche l’impalcato della celebrazione eucaristica. Sulla stessa lunghezza d’onda si trovava il vescovo Marciano, altro pericoloso mistificatore impegnatosi a predicare la negazione dell’infanzia di un Gesù che sarebbe, secondo lui, piombato in mezzo agli uomini sempre col solito schema del corpo fittizio.

Il cuore della “variante” marcionita alla gnosi consisteva nella negazione del Dio del Vecchio Testamento, demiurgo malvagio perché creatore della materia, contrapposto a un Dio buono, esclusivamente spirituale e senza voglia di giocare con la materia; i toni usati dagli gnostici erano pressappoco questi, follemente sarcastici! Ne conseguiva che Gesù fosse stato inviato dal Dio buono a liberare dal giogo materiale l’umanità. Marcione predicava l’astinenza sessuale affinché il mancato concepimento non perpetuasse il male di nuove creature carnali. Il “furore mistico” degli adepti di queste sette assunse i caratteri di vera guerra santa al genere umano nella sua interezza; così da fornire l’alibi all’accanimento delle persecuzioni anticristiane: particolarmente feroci nei secoli III e IV; soprattutto al tempo di Diocleziano.

In questi anni le frange al servizio degli eoni, (gli inviati spirituali del Dio buono) furono sottoposte a una sorta di pogrom unitamente a tantissimi cristiani ortodossi, fedeli al Vangelo che, nell’incomprensione generale, finirono triturati da un potere laico alla ricerca dell’ordine pubblico da raggiungere per vie spicce e spietate. Fatto sta che alla tempesta sopravvissero sia gli ortodossi che gli gnostici; questi ultimi poi si raccolsero in numero sempre più consistente attorno ai dogmi di Mani, un persiano di famiglia nobile del III secolo d. C. la cui costruzione teologica si codificò sull’incarnazione degli eoni, tre dei quali erano riconosciuti come superiori: Gesù, Buddha e Zarathustra.

Tutti inviati a liberare l’uomo dalla materia. Il dogma manicheo fu così ben strutturato che durò a lungo all’interno dell’Impero romano, lo stesso S. Agostino era tra i suoi membri, prima della conversione al Cristo evangelico; il fuoco di quest’ultima grande gnosi camminò sotto la cenere anche dopo la sua estinzione, per riaccendersi in pieno medioevo nella Francia meridionale, fra i catari di Albigny. In conclusione possiamo affermare che a rendere il Natale una festa contribuirono proprio questi pseudo seguaci del Cristo; membri a vario titolo di una serqua di settarismi cresciuti all’ombra del platonismo nel suo incontro con la fede abramitica.

Fu solo dopo la fatidica data del 313 d. C., con l’editto di tolleranza di Costantino, che anche il potere civile finalmente si affiancò ai padri della Chiesa che già da secoli combattevano gli gnostici. A Nicea, nel famoso concilio voluto dall’imperatore e in cui venne redatto il Credo Apostolico, fu siglato il patto tra Chiesa e Impero, da non intendere però al modo di Montesquieu, bensì come intreccio tra Sovrano e vicario di Cristo; quest’ultimo col compito di ratificare tramite unzione crismale un sovrano che ricambiava proteggendo pontificato e Vera Fede.

Ecco spiegata l’azione di Anastasia, culminata la notte di Natale del 326 d.C. quand’ella s’accinse a seguire, nella cappella palatina che lei aveva fatto costruire, la prima Santa messa “istituzionale” officiata dal vescovo Silvestro. Il canto del monaco declamava solenne il vangelo di Luca sulla Natività, i turiboli pendolanti spandevano fumi d’incenso e rendevano tremolanti mille fiammelle appese. Il lungo cerchio, aperto 1.079 anni prima nella grotta sottostante, s’era chiuso sul piano superiore dal pavimento ricoperto da mosaici policromi raffiguranti tralci di vite e scene evangeliche. Da Romolo a Costantino e Anastasia, principessa “forzata” a ribadire l’Incarnazione del Cristo; a mostrare come fosse centrale, nell’opera della salvezza dell’umanità, proprio il venire al mondo, in continuità con il Dio ebraico, Creatore giusto di una materia che è emanazione dell’Amore.

Laddove il Cristo è suggello della Creazione, liberatore dal peccato non dalla carne, che al contrario di quanto sostenuto da Marcione, Mani e Basilide, è non solo ontologicamente buona ma risorge nell’ultimo giorno. E proprio di resurrezione parla il nome di Anastasia, dal greco anastasis. Una principessa inviata a custodire la terra dei Cesari, l’Italia, e il palazzo imperiale, e che si assunse l’impegno di istituzionalizzare la nascita di Gesù, vero uomo, vero Dio. La sua azione invita a seguire il Cristo, dalla mangiatoia di Betlemme alla Gerusalemme Celeste, la Salvezza Eterna.

Tratto da:Onda Lucana®by Ivan Larotonda

Si ringrazia l’autore per la cortese concessione. Immagine di copertina tratta da Web fornita dall’autore.

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