L’ASSOCIAZIONE CIECHI, IPOVEDENTI ED INVALIDI LUCANI ACIIL ONLUS
PUBBLICA
DIECI RACCONTI PER SAMMY DI VITO COVIELLO
QUARTA DI COPERTINA
“Dieci racconti per Sammy” è una raccolta di storie, racconti e favole
piacevole da leggere ai bambini, la sera, prima di andare a letto.
L’autore narra al bambino Sammy – quasi come se le raccontasse a se stesso
– le sue vicende da piccolo e la descrizione di come era il suo paesino di montagna sessant’anni fa.
L’autore Vito Antonio Ariadono Coviello è nato a Sarnelli, frazione di Avigliano
(PZ) nel 1954, vive e risiede a Matera dove è felicemente sposato ed ha una
figlia. Vito Antonio Ariadono Coviello è diventato cieco a causa di un glaucoma
cortisonico vent’anni fa. Nel buio dei suoi occhi ma non della sua anima riesce
a fare quello per cui è portato: raccontare, scrivere ma, soprattutto,
condividere e regalare ai bambini delle favole e, perché no, anche un sorriso.
L’autore ha già pubblicato “Sentieri dell’anima”, “Dialoghi con l’angelo”, “Sofia
raggio di sole”, “Donne nel buio”, “Il treno: racconti e poesie”, “I racconti del
piccolo ospedale dei bimbi”, il quaderno di poesie “Poi…sia: un amore senza
fine” ed ora, ultimo ma non per ultimo, “Dieci racconti per Sammy”.
NOTA DELL’AUTORE
Ogni riferimento a fatti, cose, luoghi o persone sono puramente casuali.
RACCONTO SEI: MUSICA E FESTA AL PAESELLO
Nel mio paesello, ogni tanto, passavano, casa per casa, piazzetta per piazzetta, i cantastorie un gruppetto di pochissime persone composto essenzialmente da un signore che suonava una grande fisarmonica bella, perlata, decorata con dei ghirigori fatti di avorio e da un ragazzino con uno strano strumento a corda piccolino, portato a tracolla, la famosa “arpa viggianese” di Viggiano. I bambini imparavano presto ad usarla perché la fisarmonica era troppo grande da portare a tracolla.
Il signore con la fisarmonica era il cantastorie: cantava raccontando le storie di guerre dei briganti dipinti su dei quadri messi in esposizione. Erano scene di guerra, storie fantastiche, storie nel castello, ecc. I signori, in cambio, ricevevano delle uova, qualche pezzo di pane e di formaggio perché non c’erano soldi. Noi bambini ascoltavamo le storie con attenzione, le imparavamo a memoria così, nei giorni a venire, le raccontavamo ai bambini che non c’erano stati.
Non c’era solo il cantastorie, c’erano le feste di paese, del santo patrono. In piazza arrivavano i musicanti con la fisarmonica, l’arpa piccola e i tamburelli.
Ballavano tutti specialmente quando c’era il ballo in costume aviglianese. Era amata anche la tarantella lucana, molto veloce; noi bambini cercavano di seguire i passi ma combinavamo solo guai, accompagnavamo la musica battendo le mani insieme agli adulti. La musica non mancava mai al matrimonio: festa aperta a tutti, più gente ci
andava – anche se non era invitata – e più era bella. Non si usava il pranzo come oggi, si mangiavano solo dei fichi secchi, dei taralli e qualche pasta particolare tipo le paste fatte di pan di spagna con la crema dentro, rotonde e glassate di zucchero colorato, con sopra, al centro, una ciliegina.
Si mangiavano anche i biscotti bianchi aviglianese, taralli inzuppati nello zucchero. Il vino non mancava mai, era quello buono, l’Aglianico, e gli adulti brindavano e bevevano fino alla sera. Mi ricordo di un signore che aveva bevuto veramente tanto e il nipote lo dovette portare con la carriola a casa perché non voleva camminare. Noi bambini, ai matrimoni, mangiavamo di tutto e di più. Non c’erano i confetti come oggi, in passato erano piccoli come fagioli e coloratissimi. Venivano lanciati contro gli sposi e noi li raccoglievamo da terra e li mangiavamo.
Anche se erano caduti per terra non avevamo mai mal di pancia perché eravamo immuni alle malattie, forti e arzilli. Oggi, l’aria è inquinata e non sappiamo cosa mangiamo. Mio zio mi portava sempre alle feste dove lui andava e io giocavo con gli altri
bambini. Zio Nicola mi usava anche come porta – bigliettini che si scambiava con la sua amata Caterina, andavamo a un paesello vicino, a una quindicina di chilometri a piedi da Avigliano, a Stagliozzo, con il cavallo e i due, scambiandosi i bigliettini, si vedevano. Bisognava stare molto attenti perché a quei tempi una ragazza non dava confidenza e non parlava direttamente con un ragazzo se non era il suo fidanzato ufficiale. Arrivò il fidanzamento: una mattina mio zio Nicola mi svegliò e mi disse: “Vieni con me, andiamo da zia Caterina”.
Su un mulo che trainava un tronco enorme ci incamminammo verso Stagliozzo. Io chiesi: “Cosa dobbiamo fare con questo tronco?”, lo zio disse “è un regalo per il papà di zia Caterina”. Sotto casa di zia Caterina, lo zio cominciò a cantare una serenata di prima mattina, a me sembrava un po’ strano, a quell’ora la gente dorme e, infatti, uscì un signore dalla porta della casa di zia Caterina, io pensai che da un momento all’altro ci avrebbe gridato contro, invece, sorrise a zio Nicola e tutto felice e contento disse ad alta voce: “S’è inceppata la figlia mei”, ossia aveva portato il ceppo, segno del fidanzamento. Il papà di zia Caterina era d’accordo.
Zio Nicola diventò rosso come un peperone e fu invitato ad entrare a casa dei suoceri e, ben presto, zia Caterina diventò sua moglie. Ci fu una grande festa di fidanzamento, il nonno andò a comperare le famose paste con lo zucchero sopra e le portò in una cassetta di legno. Poi ci fu il matrimonio nella chiesa di San Vincenzo. C’erano tante persone, spararono anche in aria con i fucili per festeggiare gli sposi e poi tutti a bere e a ballare. Eh si Sammy, sono passati sessanta anni e solo al pensiero ho nostalgia di quei tempi. Ora ti devo lasciare, sono stanco. Mi raccomando esercitati sempre, abbi fede. Buonanotte, al prossimo racconto.
Tratto da: Onda Lucana® by Vito Coviello
Si ringrazia l’autore per la cortese concessione-Copertina fornita dall’autore.
L’ha ribloggato su Pina Chidichimo.