17238414_1224279577640928_1356872332_n
Immagine tratta da web by Ivan Larotonda

Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda

E’ sempre più tragicomica la pantomima in voga nelle aree sottoposte al regime dell’UE; ormai è chiaro a tutti come i potentati economici multinazionali, (o sarebbe meglio definirli oltre-nazionali), cerchino di ricavarsi il proprio angolo di Paradiso, e a tutti i costi, nell’estrema appendice occidentale del continente eurasiatico. Questo a seguito degli ultimi sviluppi in corso nel resto del mondo che vedono il ritorno di sistemi politici discendenti dalla volontà politica nazionale. Venendo progressivamente scacciati dalle Nazioni Sovrane, questi potenti senza frontiere hanno ora scelto come loro guida, tra i grandi del mondo e da quel che si è visto a Davos,  la “globalista” Cina, pur sapendo che la millenaria saggezza cinese ha pensato bene, e da tempo, di mettere un morso al capitalismo privato sorto sulle sponde del fiume giallo, evitando la sua internazionalizzazione, e danneggiando di conseguenza anche le esportazioni occidentali in Asia.

Inoltre, che sul suo esempio protezionistico altre nazioni, ancor più refrattarie al mercantilismo europoide, come l’India e la Malesia, hanno accresciuto la propria ricchezza grazie a un forte e più che giustificato rialzo dei dazi doganali nei confronti dei prodotti esteri. In fine, persino nella Patria della libera economia in libero Stato, l’Inghilterra, si è assistito in questi ultimi anni al ritorno del protezionismo; almeno per ciò che riguarda i settori ritenuti strategici la corona britannica ha deciso l’intervento di Stato, un esempio: la produzione dell’alluminio, anche se ritenuta troppo dispendiosa per gli standard attuali, votati al “parossismo del profitto”, (per cui nessun privato investe in Occidente per produrre questo materiale che richiede elevati costi energetici), è oggi in pratica una produzione statale, laddove in Italia si è preferiti essere, come sempre, più realisti del Re, chiudendo tutte le nostre aziende di produzione alluminio, col risultato che siamo l’unica grande potenza industriale a dover importare questa fondamentale lega. Davvero geniali, noi!

Ci siamo incartati, da soli, e per bene nella stagnola estera come i polli al forno, con la speranza che almeno il rosmarino per aromatizzare sia ancora autoctono. Combinati come siamo potremmo ardire di mantenere una parvenza di cosiddetto stato sociale? Ma nemmeno per sogno senza l’autorità di uno Stato. E’ paradossale pretendere che senza Patria, Stato, Famiglia, si possa riuscire ad aiutare gli ultimi. Senza più pudore si fanno appelli ai privati per qualsiasi sciagura: malattie rare, eventi climatici o geologici importanti, quando poi, nell’arco di un solo pomeriggio volano 20 miliardi, di soldi pubblici, per coprire i disastri combinati da miliardari insolventi!

E si sogna di reddito minimo di cittadinanza, di sopravvivenza, ecc.? Quando l’Italia si riunificò, la prima grande fesseria del neo stato liberale, voluta dagli ambienti massonici promotori del risorgimento, fu la soppressione di moltissimi istituti religiosi cattolici, con annesse le risorse che questi gestivano; il risultato fu l’emigrazione di milioni di ex sudditi del Regno delle due Sicilie verso le Americhe, nacque così la questione meridionale.

Saggiamente, in ausilio a un sistema burocratico tutt’altro che complesso, i Borboni e chi prima di loro, avevano affidato lo stato sociale alla Chiesa, la quale prevedeva al sostentamento degli ultimi facendo lavorare nei propri latifondi milioni di poveri, col risultato di far crescere svariate generazioni tramite la classica mutua assistenza. L’ingresso nel regno del Sud di una economia di mercato, che comunque favoriva la produzione industriale settentrionale, tramite i dazi doganali sull’acciaio e a scapito dei prodotti agricoli del Mezzogiorno, letteralmente surclassati dalle importazioni americane, fece il resto.

17270533_1224272437641642_285387205_n
Immagine tratta da web by Ivan Larotonda

Come si evince: “nihil sub sole novi”, e siccome il gioco è stato sempre lo stesso, ad ogni arretramento della Res Publica si registra puntualmente l’avanzamento del privato, ancora una volta peschiamo dal passato un momento straordinariamente felice del “Dominio” dello Stato sui parassiti privati, il tutto per il bene del sociale. Tale epoca d’Oro si raggiunse durante il principato romano: un periodo la cui immagine è stata ampiamente devastata dalla pessima cinematografia statunitense, (e per questo l’Italia dovrebbe costituirsi parte civile nei confronti di tutti i vari cineasti e sceneggiatori, tutti irrimediabilmente cialtroni per come hanno ridotto la migliore età dell’uomo). Oppure, sempre riguardo all’età romana, percepita dai liberisti di oggi come populista, (ormai lo usano dappertutto), o ancora, specchio dell’attuale situazione capitolina, come un eterno regno del ben godi grazie al conosciutissimo motto, ripetuto fino alla noia, panem et circenses, che solo chi ha conosciuto la storia romana esclusivamente sui sussidiari delle elementari potrebbe elevare a sintesi di tutta una civiltà.

Tralasciando questi luoghi comuni cerchiamo di soffermarci su alcuni aspetti di questa grande età dell’umanità. Guardiamo ad esempio alla riforma degli Alimenta voluta dall’Imperatore Traiano, e che dice tutto sull’ideologia che animava il principato romano dei primi due secoli, votato alla sopravvivenza del popolo italico, infatti era destinata solo ed esclusivamente all’Italia, (altro che Poletti giubilante per i giovani che si levano dai piedi, o i Padoan, padre e figlia, che giubilano all’invasione di risorse africane!). Di cosa trattava e come funzionavano gli Alimenta lo scopriamo dalle fonti, anche se incomplete, ricavate soprattutto dalle “Lettere ai famigliari” di Plinio il Giovane, (quello che per primo nella storia descrisse un eruzione vulcanica).

L’ottimo Principe, in pratica, istituì per la sola Italia, ripetiamolo, un fondo fisso di prestito che era messo a disposizione dei proprietari terrieri. Dalle casse dell’Imperatore gli agricoltori prelevavano il denaro che gli serviva, e senza scadenze di rimborso, purché versassero un piccolo interesse e ipotecassero i propri fondi coltivati. Sia chiaro, l’Imperatore non reclamava mai i suoi capitali né faceva valere l’ipoteca, ovviamente fino a quando i debitori versavano i modesti interessi.

L’ingegnoso sistema fiscale era utilizzato dall’imperatore per veicolare questi interessi a favore del sostentamento dei figli dei cittadini poveri. Ogni municipio d’Italia riusciva così a raccogliere e distribuire alla famiglie povere questo denaro; da ricordare inoltre che il tasso di interesse restava fisso, perché garantito dal Principe nonché dai suoi successori. Così come era garantita la validità delle monete, che gli Imperatori per l’appunto attestavano! Bei tempi quando il denaro lo coniava lo Stato, ora lo stampa un ente privato! Di quale Stato sociale possiamo parlare così combinati? Ai posteri l’ardua sentenza, se ce ne saranno disposti a parlare di noi e di come ci siamo estinti, ma riuscendo nell’intento glorioso di non sforare il disavanzo statale del 3% del Pil!