
Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda
Tyrannoi
Chi di noi non ha imprecato, almeno una volta, contro il malgoverno? Intendiamoci, anche quando le cose i governi le fanno bene, perché parrà strano ai più, esacerbati nell’animo da un decennio di decadenza economica, culturale, sociale ecc., ma accade anche questo. Fatto sta che comunque, noi: popolino, popolaccio, gente incolta per la maggiore, perseveriamo nella resistenza alle sirene del progresso dei “diritti” che la società aperta mondialista ci propone. Al contrario, ci arrocchiamo sempre più nelle nostre comunità perché “pecchiamo” nell’ostinazione a riconoscerci in una. Osiamo operare una scelta, e quest’ultima abitudine pare non rientri ancora nel codice penale; (laddove un conto è perseguire, un altro semplicemente scegliere, ad esempio, tra cittadini e non), e tra queste scelte, tra noi trogloditi vige ancora l’uso di andare a letto con persone del sesso opposto.
Credere in una comunità di compatrioti non è un anacronismo da ridicolizzare, ma pretendere ordine nella giungla dei diritti, o presunti tali, che significano anche richiedere agli ospiti almeno un minimo di anni di residenza, in un dato territorio, come requisito necessario all’accesso ai servizi sociali. Ebbene, la stragrande maggioranza degl’italiani possiede i requisiti che ho elencato sopra (se ne facciano una ragione i vari Bonino e Soros) oltre ad essere esasperati dall’indecisione vigente in tutti gli apparati pubblici; tra i quali nessuno vuole, eppure si può, arrestare l’invasione degli africani. Come pure stracciare i trattati internazionali che hanno tolto la sovranità monetaria, e con essa quella nazionale.
E poi i democratici odierni dileggiano il regno d’Italia per i suoi ripetuti cambi di alleanze; almeno quella classe dirigente cercava il bene pubblico nazionale oltre agli ovvii suoi tornaconti di casta. E allora, sembra riaffacciarsi lo spettro dell’uomo forte? Il volgo sciocco, come lo chiamava Seneca, vuole il dittatore per rimettere ordine? Di sicuro questa figura è una minaccia per i potentati odierni, per tutta quella pletora di incompetenti istituzionalizzati, in Europa e in Italia, che vive millantando capacità evaporate già nei loro padri, e perpetua la propria gozzoviglia comodamente sdraiata sugli allori di chi li ha preceduti.
Ora che siamo ridotti a pidocchi sui nani che a loro volta stanno seduti sulle spalle dei giganti, (mi perdoni Bernardo di Chartes se modifico il suo pensiero) non vediamo più niente, noi post moderni, perché stiamo affogati nella forfora, (leggi mondo pop, l’immondizia partorita dalla vittoria angloamericana nel secondo conflitto mondiale) che sta tra i capelli del nano che ci ha preceduto, chiamato uomo moderno. Ma l’Atlante che regge tutto, quel poderoso passato che i sessantottini, farseschi imitatori dei ben più terribili loro predecessori giacobini, incapaci di non dico eguagliare ma almeno ispirarsi ad esso, hanno deciso di esautorarlo dal suo compito magistrale.
Ebbene, qual era uno degli insegnamenti che il mondo tradizionale metteva in pratica nei momenti di decadenza, come quello attuale? Ovvio, la saggezza popolare, quella che ragiona con la pancia, lontana dall’intellighenzia progressista, sa cosa vuole e l’ho citato sopra. Oggi, l’avvento di un dittatore sarebbe salutato con giubilo dalle folle. Salvo poi appenderlo alle pompe di benzina quando le cose decadranno, perché tutto è transeunte nella materia, diceva S. Paolo, ma questo è un discorso che viene dopo. Nella storia occidentale è successo ciclicamente, come tutto d’altronde, l’avvento dei regimi dispotico-popolari e popolari-democratici.
Fu proprio la tendenza a cedere sovranità ai popoli ad avere come contrappasso la tirannia; infatti tale sistema repubblicano, tramutatosi oggigiorno in democratico, vige almeno dal lontano VIII secolo, quando nacquero le città stato. Ora, la partecipazione di un numero consistente di uomini al governo tende inevitabilmente a creare dei professionisti del potere, i quali cedono le proprie conquiste sociali e politiche ai propri figli. Di norma questi ultimi non hanno mai brillato della luce dei padri, il momento più felice dell’Impero Romano si ebbe con l’età Antonina e la sua serie di principi scelti in base al merito non al sangue. A scalzare il tiranno aristocratico, sovente, si è presentato lo spiantato dell’antico regime in cerca di vendetta oppure un uomo nuovo in tutti i sensi, venuto dal popolo o addirittura dall’estero, a riscattare lo Stato.
L’Età florida paradossalmente coincide proprio con l’avvento dei tiranni “popolari”, i sovrani che annullano o congelano gli apparati dell’ancien regime, le oligarchie. Ho citato lo splendore della romanità del secondo secolo, ma in realtà lo stesso avvento del Principato a Roma fu dettato da esigenze di ordine, laddove il sistema repubblicano e le sue magistrature annuali avevano dapprima paralizzato l’attività politica, poi diviso la società in tanti partiti che facevano capo a una o più famiglie, e in seguito avevano creato un proprio cartello vetero-mafioso che aveva trascinato l’Italia in una guerra civile giunta al punto di distruggere la civiltà romana. Il primus inter pares intervenne come arbitro e garante delle istituzioni repubblicane, questo era l’imperatore, da Augusto e fino al terzo secolo.
Però, se guardiamo ancora più a ritroso nel tempo, non si fatica a scorgere negli antichi romani il favore che concedevano all’istituzione della dittatura temporanea ogniqualvolta il pericolo per la Repubblica fosse tale da non essere più gestibile dalle magistrature ordinarie. Ancora: oltre al mondo romano, e già alla fine del settimo secolo a. C., constatiamo la caducità dei regimi repubblicani i quali, proprio in tale epoca, soffrirono la loro prima grande crisi istituzionale. Il regime del governo di popolo aveva creato una sua dinastia di burocrati sempre più incapaci, che paralizzavano l’economia perché richiedevano gabelle sempre più elevate per ingrassare l’oligarchia, che aumentavano a dismisura i lotti di terreno, sempre per la casta al potere. A quel punto i popoli, sempre più sopraffatti dalle élite democratiche al potere, chiesero il ritorno degli eroi, i semidei del tempo cantato da Omero. E costoro ritornarono: Policrate di Samo prese il potere e come primo atto limitò le spese per l’aristocrazia; Clistene, a Sicione, redistribuì i terreni frenando l’eterna tendenza dell’uomo ad arricchirsi a scapito dei più umili tramite l’espansione del latifondismo.
Un loro “collega”, ben più famoso perché effettuò il colpo di stato nella celeberrima Atene, fu Pisistrato. Totalmente estraneo al cosiddetto establishment ebbe mano libera per eliminare ogni concorrenza tra i nobili, un’assurda competizione del lusso che sfiancava le ricchezze pubbliche. Come secondo passo ridiede vigore partecipativo agli antichi riti che l’abitudine delle classi “imborghesite” aveva reso stantii. Pisistrato era ben conscio, già a quei tempi, come la religione sia uno dei cardini del rinascimento nazionale, (lo stesso ha fatto ai giorni nostri Vladimir Putin); in seguito la sua rivoluzione interessò l’introduzione di nuovi sistemi di misura e pesi, altrettanto fece Fidone ad Argo, questo per agevolare le classi umili, sempre in balìa dei furti delle arbitrarie e “creative” unità di misura che le oligarchie avevano messo in piedi per arricchirsi ulteriormente a scapito del pubblico (chissà perché anche questo mi fa venire in mente l’attuale sistema Euro).
Ancora, Pisistrato costruì l’Enneakrounos, un acquedotto dotato di dodici fontane pubbliche, magnifica opera raffigurata persino dai vasai, tanta fu la riconoscenza degli ateniesi per colui che aveva soddisfatto il bisogno primario! Come il tiranno ateniese anche altri signori operarono in favore dei propri concittadini esautorando la nobiltà da ogni mansione pubblica. E si gloriavano di ergersi a difensori della comunità perché tutti, invariabilmente, si prodigavano nel far racchiudere le proprie città entro cinte murarie, mentre al loro interno le purificavano tramite la costruzione dei primi vasti sistemi fognari, che interessavano quindi gran parte della popolazione, non solo il palazzo del Re o dei magistrati. Come fece Servio Tullio, il secondo dei Tarquini di Roma e appartenente pure lui come i predecessori ai tiranni illuminati del sesto secolo, dai quali non si può espungere Policrate di Samo: celebre per aver portato acqua da un luogo all’altro dell’isola tramite una galleria di 1036 metri!
E ancora il tiranno di Corinto, Cipselo, che fece scavare l’istmo che univa l’isola di Leucade al continente, per facilitare la navigazione, dunque i commerci. Commerci che, sotto il potere di questi “despoti” annullatori della democrazia, rifiorirono non perché i mercati furono lasciati liberi ma al contrario perché entrarono sotto stretta sorveglianza dell’uomo-stato, il quale impediva la cannibalizzazione delle attività da parte del più forte: quello che era accaduto prima dell’avvento dei tiranni e che accade nuovamente oggi, coi tiranni finanziari.
Ecco chi furono in ogni epoca gli uomini forti, svolgevano opere imponenti ma per agevolare la vita dei propri concittadini, erano rudi, certo, ma avrebbero fondato il mondo classico le schiere di ciarlieri seduti sugli scranni a parlare delle loro rendite private e di come spolpare i beni pubblici? Il rinascimento, vanto dell’Italia, sarebbe stato possibile senza i despoti di casa Medici? Non credo proprio, e come loro tante altre gloriose famiglie italiane: dagli Sforza ai Malatesta, dai Gonzaga agli Estensi e ai Montefeltro, tutti immancabilmente signori, che in greco suona pressappoco come Tyrannoi.
Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda