“U Pen’ dha chesë” – (Il pane fatto in casa)
Tratto da:Onda Lucana®by Franca Iannibelli
Oggi, in questo periodo di pandemia, tutti si sono cimentati a fare il pane in casa, basti pensare che tanti anni fa era d’obbligo, a causa delle difficoltà economiche per una famiglia estesa, la quale non poteva imbarcarsi in un codesta spesa.
Le giornate delle massaie erano ben organizzate, perché il loro lavoro si svolgeva all’asterno in campagna per la maggior parte del tempo utile, quindi si passava ai lavori domestici pensando di recuperare le necessità di base come: la lesciva, il sapone ed infine il pane.
Si cominciava con il giorno precedente, con il quale si pensava alla organizzazione dei successivi, se non si aveva in casa “U criscitur‘” (il lievito pasta madre), si doveva chiedere in prestito al primo vicino di casa utile, quindi si doveva “Cresh” (rinfrescare), aggiungendo acqua e farina per poi lasciarlo fermentare a temperatura ambiente.

Un altro passaggio era il sale, già, esisteva il “Salgemma” e non il (Sale Fino), cioè una pietra di sale non Marino ma delle miniere, che “Saviedd’a pësè ku murtel” (si doveva pestare con il mortaio e pestello entrambi in pietra).
La mattina, la massaia si alzava all’alba e incominciava ad impastare; per prima cosa prendeva la farina nella cassa di legno, “A kash“, cioè: (Contenitore della farina), poi “A Mattrë” cioè: la “Madia”; dove veniva setacciata, attraverso, un setaccio chiamato: “A setul“.
Ma prima ancora si faceva “A salëmurr“, cioè: si prendeva una quantità di sale (la misura si ricavava ad occhio nudo, la bilancia sarebbe stata una esperienza proiettata nel futuro) e lo scioglieva con l’acqua nella “Madia” dove veniva messa la farina, altra acqua per il lievito oramai pieno di fermenti, per cui pronto all’utilizzo. Con i pugni chiusi e con tanta fatica fisica delle braccia, si impastava gli ingredienti, fino a quando l’impasto non diventava liscio e omogeneo, che alla fine, veniva coperto fino alla completa lievitazione,dopodiché, si dava la forma al pane: “U shcanavën“e, lo si metteva di nuovo a lievitare.
Quando il pane giungeva alla giusta lievitazione, si accendeva il forno a legna, che era pronto quando “U ciel di fuurn“, cioè: (la volta del forno), diventava bianca per il calore. Si tirava la brace e con uno straccio umido legato ad un bastone chiamato: “U munnlë“si passava sopra per indebolire il calore e per pulirlo dalla cenere.
Il forno era così pronto per il pane, il quale poteva essere infornato, con una pala di legno, si chiudeva la bocca del forno con un apposito attrezzo di ferro chiamato: “A kiudern“. Dopo un paio di ore di cottura si tirava fuori dalle quattro alle sette “Shkanet’ i pen“, cioè: (pezzi di pane), da più di 2 kg di peso ciascuno, il quale doveva durare per circa una settimana.
Un caro saluto dalla vostra Franca e alla prossima!
Tratto da:Onda Lucana®by Franca Iannibelli
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Si ringrazia l’autore per la cortese concessione – Foto interne e di copertina fornite e prodotte dall’autore.