VULTURE SACRO – (Seconda Parte).

Tratto da:Onda Lucana®by Ivan Larotonda

Il Vulture, va detto anche questo, dal semplice fatto di elevarsi al cielo è come ogni monte preposto all’epifania soprannaturale; da questo punto di vista l’Olimpo e il Sinai sono gli archetipi di tutte le montagne sacre. Nel nostro caso però non è semplicemente il criterio dell’altitudine a farne luogo venerabile, concorrono altri fattori; a cominciare dall’isolamento anomalo in mezzo al panorama centromeridionale, slegato com’è da qualsiasi catena montuosa. Inoltre, nella schedatura “dell’orografia sacra” una parte primaria è assunta dalla peculiarità delle acque che vi sgorgano: acidule-minerali, ferruginose e ricche di anidride carbonica, con annessi addirittura fenomeni lìmnici; tutto quel che è presente sul Vulture e in modalità diffusa.

Ecco quindi che esistono ab origine varie forme di culto alle “acque speciali”, com’è confermato dalle numerose statuine rinvenute fin sui bordi dei laghi e nei dintorni di Monticchio, Varco della Creta e S. Maria di Luco. Nel loro insieme i pii manufatti compongono le stipi votive a Mefite, la dea delle acque ctonie, mediatrice fra mondo infero e supero. Laddove la stipe rappresenta soltanto un campione, ossia il templum (“ritaglio” dell’intero territorio vulturino sacralizzato), entro cui si svolge il sacrificio-ringraziamento alla divinità e per l’appunto vi si conservano gli ex voto. Soverchiamente diffusi per tutto l’apulo monte, stanno a certificare gli effetti della presenza soprannaturale.

Un’ultima cosa c’è ancora da dire, e riguarda lo stesso Orazio. L’uso che fa del sostantivo fabuloso è tipicamente epicureo. Voglio dire che il poeta venosino, essendo seguace del vivere in scia del filosofo Epicuro, assume nei confronti dei fenomeni remoti alla sua generazione l’atteggiamento tipico dello scettico, dell’agnostico: diffidente verso ogni forma di credulità cosiddetta popolare. Ma quest’uso del fabuloso mostra altresì come la credenza locale nella sacralità del monte Vulture fosse molto viva ancora ai suoi tempi e Orazio l’asseconda. Quasi a dire che certamente lui non ci va appresso (come Livio che negli stessi anni s’imbarazzava a descrivere la pretesa di Augusto di discendere da Ascanio Iulo, figlio di Enea), però il sentimento del sacro è così forte su quel monte che qualsiasi cosa vi accada è di per sé prodigiosa. Anche perché lo stesso Orazio si presenta, al limite della spocchia, come predestinato dagli dei agli allori poetici; in buona sostanza pur non credendoci, o considerandole lontane dai bisogni dell’uomo, dice che le divinità almeno per lui si sono scomodate, e non potevano farlo in altro luogo che sul monte natìo, monte speciale.

In conclusione la fabula era (e lo è ancora) refrattaria a qualsiasi asserto razionalistico, però dichiarava la presenza di un nume in un determinato luogo; il passare delle generazioni, dei secoli, faceva il resto. Per cui il sito affabulato (inteso come incantato dal divino) da tempo immemore, veniva protetto e venerato dai romani, rientrando così nell’ambito del mos, il modo: che sarebbe la consuetudine dei padri, in definitiva la tradizione. Ed era quella locale ad indicare, ad esempio, che S. Michele Arcangelo è stato nella grotta sul Gargano, ma anche sullo stesso Vulture. Culto micaelico, colombe inviate da Venere a portare mirto[1] e alloro, statuine di Mefitis con testa cinta da pòlos (la corona delle dee, intorno a cui ruota la venerazione del popolo); tutto concorre, lungo i secoli e senza hiatus, a fare del Vulture un luogo mistico, di contatto fra terra e cielo, tra fisico e metafisico, una generazione dopo l’altra.

[1] Il mirto è pianta sacra a Venere perché fu il suo primo indumento; si coprì con questa nel momento successivo alla nascita dalle acque. Ovidio 11, 27.

Tratto da:Onda Lucana®by Ivan Larotonda

Si ringrazia l’autore per la cortese concessione. Immagine di copertina tratta da Web.

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