Eterni diritti (Seconda Parte)

Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda

In essa la tradizione cattolica, proprio perché chiamata a trattare sulle cose nuove portate dai tempi nuovi, dovette ribadire concetti oggettivi in quanto immutabili nel corso dei secoli, quali: è innaturale pretendere di rendere gli uomini tutti uguali.

Il socialismo, figlio prediletto dell’idealismo, sostiene invece di trovare soluzioni a partire dalla soggettività; per cui qualsiasi forzatura della natura è sempre presentata “nell’interesse dei popoli”, e questo grazie a verità dettate ai vari capi rivoluzionari da chissà quali astrazioni personificate della ragione o dello spirito assoluto. Quel che è certo, ed è sì un dato oggettivo, è che l’unicità dell’uomo, la sua creatività, le sue arti e mestieri, le sue proprietà immobili e non furono soppresse dal totalitarismo socialista.

Eppure, per noi contemporanei, imbevuti di un caotico egualitarismo marxista decisamente peggiorato dalla “rivoluzione” sessantottina in poi, è spiazzante scoprire che nell’enciclica Rerum Novarum, (a fianco alla difesa della proprietà privata, definitivamente accettata dalla stragrande maggioranza della popolazione mondiale, ma solo dopo un percorso dialettico condito da troppe tonnellate di bombe), c’è l’elogio delle classi; che dai più è considerato un retaggio medievale, oggi si dice “discriminante”. Ma si sa che nel caos odierno tutta la legge naturale è vista come qualcosa di sospetto per cui da sottoporre a continue modifiche, a cambiamenti voluti dai capricci di un uomo dall’istinto demiurgico. E’ lo stesso uomo nato dalla rivoluzione industriale, quell’uomo Faust che padroneggia le tecnologie e ricrea il mondo a sua immagine! Il grande Pontefice aveva visto bene gli abissi in cui saremmo precipitati. E dunque se scriveva di un esistenza stoica ineluttabile, come condizione propria dell’umanità, (d’altronde il cattolicesimo è religione eroica) e che l’eliminazione delle disparità è cosa impossibile, è perché i nuovi poteri dati dalla tecnologia all’uomo non devono illuderlo di poter ergersi a Dio. La sofferenza dell’esistenza terrena; la fatica, distribuita tra le genti in una gradazione che segue l’ingegno di ognuno, è cosa naturale.

Perché gli individui sono diversi e non possono annullarsi vicendevolmente in un egualitarismo che illude, e che può solamente aggravare le sofferenze dell’umanità. Non sono dunque parole dure, sono pensieri di saggezza eterna, quella trascendentale a cui guardava l’antica aristocrazia, quella che sputava sangue sui campi di battaglia, ma era patrimonio comune anche della grande massa proletaria, esentata dalla guerra perché intenta a combattere la sua giornaliera battaglia per strappare frutti alla terra! Al proposito, fateci caso, in tutte le epoche i poveri in guerra li inviarono soltanto i regimi assolutistici, ossia privi di nobiltà aristocratica e perciò zeppi di cortigiani, oppure, proprio dal tempo in cui al potere giunsero le borghesie industriali, artefici delle coscrizioni obbligatorie e per questo, dall’età napoleonica alla seconda guerra mondiale, furono bruciate ecatombi di esseri umani in interminabili conflitti.

L’appello-allarme lanciato da Leone XIII nella sua enciclica era rivolto al popolo cristiano occidentale, quello che si industrializzava e che avvertiva in modo maggiore la divisione sociale e dunque il conflitto. La concordia ordinum di cui parlava Cicerone, ed il monologo di Menenio Agrippa sulle membra che tra loro devono operare per la salvezza dell’intero corpo, riecheggiano nell’enciclica leonina. Enciclica che invitava i cattolici ad associarsi, a diventare proprietari dei beni e delle attrezzature per la produzione, obiettivo raggiungibile ispirandosi alle corporazioni medievali. Un organizzazione del lavoro che escludeva anche il sindacato, perché intento a promuovere interessi di classe, laddove nel sistema corporativo sono mescolati tra loro lavoratori dipendenti e datori di lavoro. Nel Regno Unito i fratelli Chesterton, Hilaire Belloc, George Bernard Shaw ed il religioso domenicano Padre Vincent Mc Naab, misero in pratica le indicazioni della Rerum novarum e fondarono il movimento dei distributisti, al quale accennavo all’inizio.

L’economia distributista non era incentrata, come nel liberismo, sul mercato fautore del valore nominale delle merci, ma sulla produzione. Il lavoro non è valore mercantile ma frutto del merito. Di conseguenza il lavoratore non è più valutato come parte del prodotto, anch’egli merce, soggetto a cartelli e monopoli di pochi privati, ma messo in condizione di far valere le sue qualità personali. L’ingegno dell’uomo in luogo della furbizia e la truffa, che è poi il tipico rovescio della medaglia del sistema speculativo liberale.

Secondo il metodo distributista la persona che entra nel mondo del lavoro riceverà dalle banche, convenzionate con lo Stato, un credito sociale con cui avviare o rilevare un’attività o quota di essa, tale credito verrà restituito nel corso della vita. In questo modo il salario non sarà più determinante. Anche all’antico proprietario sarà conveniente cedere la sua proprietà, quella preposta alla produzione, ai suoi ormai ex dipendenti, conservandone una parte non superiore alle altre quote. Potrebbe sembrare una forzatura anche questo sistema, tuttavia si trattava di mettere in comune i beni atti a produrre, (solo i beni non le proprietà individuali), a persone che non potevano permettersi grossi investimenti, il principio delle cooperative è questo, in fondo.

Anzi, essendo comunità del genere basate sulla distribuzione di beni, più ridotte erano e meglio avrebbero funzionato. Anche in questo i distributisti furono ispirati da un’altra enciclica, la Quadragesimo anno di Pio XI, che potrebbe essere considerata un’integrazione alla Rerum novarum, quindi sempre nel solco della dottrina sociale della Chiesa. In essa le attività economiche più solide venivano invitate ad aiutare quelle in difficoltà, non a distruggerle per poi assorbirle onde costituire gruppi economici più grandi, fino addirittura ad arrivare a condizionare le politiche nazionali. Chesterton usava dire che il male maggiore del capitalismo consisteva nella tendenza dello stesso a diminuire il numero di capitalisti; ciò voleva dire drastica riduzione di proprietari di beni di produzione e dunque l’arroccamento di un élite industriale in oligarchia il cui fine era la concentrazione in poche mani delle ricchezze di interi popoli.

Questo, in estrema sintesi, fu il motivo che spinse il Santo Padre a scrivere delle cose nuove, del nuovo mondo industriale caratterizzato dal trionfo del positivismo, le cui certezze però erano andate in crisi, travolte da un proletariato trovatosi di colpo ancor più impoverito di quanto non fosse stato nei secoli addietro.

Il mondo tradizionale non poteva rassegnarsi allo scadimento dell’uomo ad animale semplicemente più intelligente degli altri. Leone XIII denunciava l’eliminazione della componente spirituale dalla vulgata scientifica del tempo, era logico che si opponesse alle teorie darwiniane e non solo perché in contrasto con il creazionismo ma anche perché queste erano incentrate sulla selezione dei tipi umani, da adattare evidentemente alle esigenze economiche del momento unitamente all’uso politico che se ne fece.

(l’eugenetica ed il razzismo biologico, cosa ignara fino ad allora, nacquero dagli studi sull’evoluzione delle specie)

E purtroppo l’idea dello scarto, del non utile perché improduttivo o non standardizzato secondo criteri evolutivi, non fu esclusiva dei regimi criminali, sotto molti aspetti sopravvive ancor oggi. In effetti il sistema competitivo capitalistico, in cui vige quella legge del più forte che è stata mutuata dalla lotta per la sopravvivenza presente nella natura ferale, è un’altra interpretazione di tipo darwinista della società umana. In questo modo comprendiamo meglio le correlazioni tra andamento delle merci e degli eserciti, nelle quali il ruolo del nazionalismo, individuato con teorie sempre meno convincenti come male assoluto, movente di tutti i conflitti, è solo una parte, la realtà è molto più complessa. In ogni tempo il male viene fermato sempre, ma soltanto quando fa comodo a determinate categorie sociali.

Il New Deal rimase un mezzo flop fino a quando l’industria bellica, a seconda guerra mondiale iniziata, non risollevò l’economia degli Stati Uniti. Al termine del conflitto tutto il sistema economico occidentale parlò una sola lingua: economia di mercato! Certamente il benessere susseguente interessò gran parte della popolazione occidentale, ma vi è da aggiungere che tale benessere, soprattutto in Europa, fu dovuto anche alla forte componente statale, quella che oggi i professoroni liberisti deridono. Eppure non possono smentire, pur celandone i successi, (quelli ottenuti dall’IRI, costruttrice delle autostrade, ad esempio) che lo Stato sociale, l’economia mista pubblico-privato, erano basate sul principio di sussidiarietà, figlio anche di queste due encicliche papali che valorizzavano le specificità di tutti, come nella migliore tradizione evangelica. Purtroppo in Occidente, dagli ultimi venti anni in qua, ed è un dato che non viene preso in considerazione abbastanza, si è registrato un arretramento spaventoso degli stati nazionali dall’economia. Sicché dopo le numerose privatizzazioni fatte, si dice, per ridurre i costi pubblici, ma che in realtà hanno deviato miliardi diretti all’erario verso le casse di un pugno di privati, possiamo mestamente registrare di essere tornati, ad oggi, con i diritti, quelli veri, collettivi, a più di un secolo fa!

Urge, al punto in cui siamo giunti, parlare nuovamente della dottrina sociale della Chiesa, degli insegnamenti che propone e dei quali potrebbero fare tesoro le forze politiche attuali che, al contrario parlano, purtroppo, tutte e indistintamente, di economia competitiva: la legge del più forte. In fondo non ci si può attendere nulla di diverso da una classe dirigente che non guarda più al cielo.

Tratto da:Onda Lucana by Ivan Larotonda

Immagine di copertina tratta da Web:

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