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Prima considerazione: se il ducetto di Rignano avesse avuto anche solo un terzo del fascino epidermico dell’uomo di mondo Denis Verdini, a quest’ora probabilmente ce lo ritroveremo ancora al posto scaltramente sgrafignato a Enrico Letta: pericolo scampato, insomma!

Seconda considerazione: quando si ascolta Denis Verdini perorare le sue cause, come ha fatto ieri sera durante il “Bersaglio Mobile” (La7) di Enrico Mentana, si comprende perfettamente il perché la sua attività di lobbysta (credo sia questo sia il termine che si usa), l’abbia svolta al meglio. Si spiega perché abbia avuto così tanto credito e successo, anche presso gli altri spiriti affini che con la loro filosofia politica affaristica, tipica di una Banda Bassotti analogica, hanno screditato l’Italia degli ultimi cinquanta anni, Berlusconi e il ducetto di Rignano inclusi.

Terza considerazione: quando si ascolta Denis Verdini perorare le sue case per un attimo di troppo, allora, solo allora, si comprende pienamente il castello di carte che deve essere il suo universo di riferimento, e una vacuità nell’anima che fa rabbrividere.

L’epifania appena citata l’ho avuta ieri sera, proprio mentre “ammiravo” distratta la non-chalance con cui questo signore sedeva nello studio di proprietà di Urbano Cairo, la dolcezza con cui faceva muovere la sedia girevole, la cortesia con cui rispondeva alle domande, la determinazione con cui imponeva la sua risposta. Averlo un tal senso del savoir faire! È tutto ciò che fa gli uomini di mondo, direbbe il mio immenso mito! Anche le donne, s’intende. Se non fosse che…

Sì, effettivamente mi è servito qualche briciolo di attenzione in più per notare i particolari a loro modo “stonati”. Per esempio, per notare l’occhiata studiata, provata, accorta, scaltra con cui Denis Verdini guardava, scrutava, e nella stessa inquadrava, il bravo Marco Damilano che lo incalzava da par suo. E poi c’era la sicura forza dialettica di Verdini che si manifestava nel suo non “concedere” mai nulla. Nel suo ricominciare ogni ragionamento per assoggettarlo alla sua visione. Nel suo evitare sempre una risposta diretta. Ma non basta. Ciò che mi ha colpito veramente in questo signore – che, diciamocelo, è rappresentazione plastica di tanti altri “signori” italiani che hanno abitato e gestito il nostro Paese nell’ultimo mezzo secolo e sono stati causa prima della sua rovina – è stata la sua filosofia politica, finanche la sua peculiarissima filosofia dell’anima. E se la prima non mi ha meravigliato, nel senso che vive di un machiavellismo adattato alla povertà dei tempi, alla povertà delle idee, al personalissimo interesse di portafoglio che è comunque legittimo, la seconda è stata sicuramente quella che mi ha fatto davvero rabbrividire.

Detto altrimenti, è ormai da ieri sera che io mi sto chiedendo come, in un futuro prossimo ma inevitabile, sicuramente più certo del giudizio umano che incombe sulla sua testa, almeno a leggere le ultime sentenze dei tribunali, Denis Verdini si confronterà con le interrogazioni che il suo fato ultimo lo costringerà a farsi (anche a dispetto della sua innata coyness nel rivelarsi per ciò che è realmente). Mi domando insomma a cosa si appiglierà per giustificare gli atti, i fatti, le ragioni dell’opinabile universo di riferimento che sembrerebbe avere scelto come casa privilegiata della sua anima, e che a un guardare dall’esterno pare appunto sembiante fatto di carta, castello di carta, come sono in genere tutti i castelli costruiti con i mattoni della furbizia.

Mi domando che ne resterà dei suoi discorsi zuccherosi ad-arte, del suo savoir-faire, degli inciuci, degli intrallazzi (io li chiamo così, lui – come ha spiegato ieri sera – li chiama l’arte di fare politica, di più, l’unico modo possibile di fare politica), della sua flemma, del suo incupire o svilire, o rigirare le conversazioni, tutte le conversazioni, allo scopo di ammaestrarle. Mi domando che ne resterà del suo destino di uomo di mondo. La risposta che mi dò é che resterà il nulla: fuori e dentro la sua anima. Fuori e dentro di lui. Naturalmente, so bene che resterà “il nulla” anche di queste mie elucubrazioni, di queste mie considerazioni su un Essere che non conosco. Tuttavia, una differenza potrebbe comunque stare nel fatto che io me ne rendo comunque conto, che di questo io ne ho coscienza; lui, invece, almeno a giudicare da ciò che si è visto e sentito ieri sera, almeno a giudicare dagli incisi soft tutti tesi a leccare il culo dei vari Lotti e dell’indifendibile renzistico, sembrerebbe mancare di questa necessaria qualità d’illuminazione.

A ben guardare, infatti, ciò che mi ha trasmesso ier sera l’intervista all’epidermicamente “fascinoso” uomo di mondo Denis Verdini, è stata una profonda e formidabile tristezza. Una tristezza quasi metafisica causa la vacuità spirituale che faceva venire a galla. Una tristezza che era emblema di tutto ciò che è triste e non sa di esserlo, ritenendo che un’eventuale perdità della libertà fisica possa essere il vero male da temere. Una tristezzza che magnificava le sbarre della palese gabbia che circonda quest’anima. Una gabbia finanche dorata, come è tipico del gramo vivere di ogni vero uomo di mondo. Una gabbia che forse ha radici lontane, esiste da milioni di anni e altrettanti ne necessiterà per sfibrarsi come neve al sole.

Rina Brundu

Tratto da :https://wordpress.com/read/feeds/1089194/posts/1372711557