L’ASSOCIAZIONE CIECHI, IPOVEDENTI ED INVALIDI LUCANI ACIIL ONLUS
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Tratto da: Onda Lucana® by Vito Coviello
IL TRENO: RACCONTI E POESIE di VITO COVIELLO
Ogni riferimento a fatti, luoghi, persone o cose è puramente casuale.
QUARTA DI COPERTINA E NOTA DELL’AUTORE
L’autore Vito Antonio Ariadono Coviello ha già pubblicato un primo libro intitolato “Sentieri dell’anima” premiato nel concorso internazionale “Vittorio Rossi di Gaeta, dell’Anfi di Gaeta” e della casa editrice “Il saggio di Eboli”. Attraverso l’associazione ACIIL Onlus di Potenza ha pubblicato un secondo libro “Dialoghi con l’angelo” e “Donne del buio” e, inoltre, il libro per bambini “Sofia raggio di sole ed altri racconti e favole”, con questo l’autore mette in essere un’altra parte dei suoi ricordi e della sua vita. L’autore Vito Antonio Ariadono Coviello è nato a Sarnelli, frazione di Avigliano, provincia di Potenza nel 1954 e vive a Matera, dove ha studiato, si è sposato ed ha una figlia. L’autore per un glaucoma cortisonico è diventato cieco 18 anni fa ma quando nello specchio non ha più trovato la sua d’immagine ma solo la sua anima, nella sua anima ha ritrovato tutti i suoi ricordi, le cose che ha visto, le persone che ha conosciuto, gli aneddoti, i racconti e comunque ringrazia Dio per quello che gli ha già dato e per quello che gli da in questa sua nuova dimensione che è una dimensione dell’essere, una dimensione dell’anima, diversa dalla dimensione dell’apparire.
“Il treno: racconti e poesie” è una serie di storie, racconti ed aneddoti dell’autore. Partono dal treno, dal momento in cui in suo ritorno da un suo viaggio della speranza l’autore si rende conto di essere diventato cieco per sempre. Da quel momento ritorna con i suoi ricordi a quando era bambino, alle cose che ha vissuto e alle cose che ha visto, ai suoi racconti d’adulto, a sua moglie, alle persone che ha conosciuto.
DEDICA
Mi piace pensare che in fin dei conti la vita è come un viaggio in treno, ma uno di quei treni di una volta, a vapore che arrancano lentamente sbuffando e che, prima o poi, arrivano a destinazione. In questo treno c’è chi scende, c’è chi sale. Si accumulano, di volta in volta, le stazioni e i vagoni dei ricordi. Qualche volta ti capita di fare il viaggio insieme alla persona per tutto il tragitto ma può anche capitare di scendere per primo sperando di lasciare in quel posto vuoto un buon ricordo. Compagna del mio viaggio è mia moglie Bruna ed io a lei dedico questo libro.
IL FALCO GRILLAIO
Ero poco più di un ragazzino, facevo le scuole elementari al Sacro Cuore e mi ero innamorato, il mio primo amore, della mia compagna di banco, Maria: una ragazzina con i capelli neri a caschetto, bella, brunetta, con gli occhi neri, seria, dolce. Lei non mi degnava di uno sguardo e io non sapevo cosa fosse l’amore ma ero innamorato e mi piaceva tanto, era molto dolce. Provavo quell’amore platonico che solo i bambini riescono a provare o forse anche i poeti. Abitavo a piazza San Giovanni, poco distante dalle scuole elementari, dal Sacro Cuore. Maria, invece, non abitava da quelle parti, abitava molto molto molto più lontano. In genere giocavo a Piazza San Giovanni, quella piazzetta antistante alla chiesa di San Giovanni, una chiesa molto antica, risalente, credo, ai monaci tibetani, infatti sulla sinistra della chiesa esisteva l’ex convento poi adibito a carceri mandamentali, ma questa è un’altra storia.
In quel periodo, i falchi grillai (foto presa da internet) facevano i nidi e molte volte dal nido cadevano i falchetti che provavano a volare ma non riuscendoci stavano lì a terra. Nella nostra lingua materana li chiamavamo gli “striscini”, parola onomatopeica un po’ curiosa, rimandava al verso stridulo che i falchi grillai emettevano quando volavano in alto nel cielo. Io come tutti gli altri bambini prendevamo questi falchetti, li curavamo, gli davamo da mangiare grandi pezzetti di carne e immaginavamo di essere dei cavalieri con il falcone da caccia, lo portavamo sulla mano e cercavamo di addomesticarlo, cosa assai improbabile. Il falchetto stava lì fin quando imparava a volare, accettava il nostro cibo tranquillamente, era l’unico modo per nutrirsi ed io giocavo con questo falchetto, facevo il cavaliere antico verso gli altri bimbi. Quel pomeriggio vedo arrivare Maria, era venuta a trovarmi. La casa mia era molto distante da casa sua. Ed io con il falchetto, bello impettito, da cavaliere antico, la saluto: “Maria che sei venuta a fare qui?” e Maria: “Sono venuta a trovarti”.
Provavo una gioia immensa, era venuta a trovare me, il mio amore di bambina era venuta a trovarmi. Ad un certo punto mi rubarono il falchetto, io adirato, armato di una forza che non avrei mai immaginato di avere gli corsi dietro, inciampai e caddi ma lo afferrai per le gambe. Io avevo solo sette anni e lui quindici, sedici. Cadde a faccia in giù, si fece male e mi restituì il falchetto. La bimba mi guardò e mi disse: “Non ti credevo così violento” e se ne andò. Così finì il mio amore. È una storia che mi ha insegnato tante cose sin da bambino. Bisogna essere sempre se stessi, mai cercare di essere altro o quello che non si è: non ero un cavaliere antico, non avevo un falcone da caccia, avevo soltanto un animaletto che curavo non potendolo restituire al suo nido, non avrei dovuto reagire in quella maniera perché quella ragazzina era venuta a trovarmi per la mia timidezza non per il mio coraggio.
Tratto da: Onda Lucana® by Vito Coviello
L’ha ribloggato su Pina Chidichimo.