La sostanza
Tratto da:Onda Lucana®by Ivan Larotonda
Definirsi cittadini pare troppo da giacobini, la rima è involontaria ma la lasciamo perché s’addice al clima surreale, diciamo pure grottesco, in cui ormai siamo immersi, con gradazione crescente e da circa 200 anni. Il criterio che stabiliva la differenza tra cittadini e non, tempo fa, risiedeva nell’accesso al voto; paragonandolo al mondo odierno noteremmo innanzitutto che da tale opportunità erano escluse le donne. La loro estromissione risiedeva nel principio dell’elezione come espressione del popolo in armi; ragion per cui anche la virago più determinata non sarebbe stata in grado di reggere la pressione esercitata dalla mischia di fanteria, che i greci chiamavano othismos.
Pare chiaro che dunque il termine popolo indica i devastatori, populatori; le schiere di giovani che, riuniti in bande, si aprivano lo spazio geografico da conquistare a suon di bastonate, arnesi ferrei e quant’altro utile ad ottener ragione. Nel tempo in cui le elezioni furono poi regimentate entro limiti composti dal censo, ecco che le elezioni sono ancora emanazione del principio militare: bisogna eleggere i capi! Ma il capo mette il suo denaro a servizio della comunità, chi lo segue è a sua volta proprietario, non certo uno spiantato. I possessori di beni, mobili e immobili, erano perciò arruolati secondo principi timocratici: solo colui che detiene si batte per conservare e trasmetterlo ai propri eredi.
Il patto tra res publica e res privata è dunque concluso in quel cerimoniale perpetuo che era la repubblica romana; vertice della libertà privata dell’uomo nel cammino storico. Ma la libertà privata comporta anche il sacrificarsi per il bene pubblico. Le elezioni antiche sono dunque roba da gente che ha da perdere; i proletari sono esclusi dal mestiere delle armi e perciò dalle elezioni. Solo in seguito, e dopo secoli di temperie politiche in cui fermo restava tale principio censitario per le elezioni; ed era valevole ancora nell’età di mezzo, dai comuni italiani alla Lega Anseatica, sopraggiunse il mondo borghese.
Nato, come detto in apertura, circa due secoli fa, dalle grandi rivoluzioni gestite dalla libera muratoria, ottenne il risultato delle elezioni a suffragio universale, ma in favore di chi? Se la democrazia non è più diretta, come nella Roma o l’Atene antiche, se non esprime scelte militari, se non difende la proprietà dei privati e al contrario tende a privare delle libertà; sarebbe utile scoprire a che cosa serva andare a votare oggidì.
Tutte le forze politiche dell’occidente cosiddetto democratico, (e dovrebbero sapere che democratico vuol dire esser pronti alla morte, come recita l’inno nazionale nostro), hanno come ricetta quella liberale. Che si traduce nell’avere uno Stato lieve, esile fino a sfiorare il metafisico; che s’eclissa e lascia che potentati globali saccheggino liberamente la proprietà dei singoli cittadini. Se l’unica preoccupazione delle “forze politiche” è quella di trascinare nel cerchio di dodici stelle in campo blu, che pare il gorgo di Scilla e Cariddi, intere popolazioni; se gli eserciti, costosissimi, messi in piedi dagli occidentali sono messi al servizio di un Leviatano che spinge i suoi tentacoli ovunque pur di far trionfare il criterio talassocratico, quello fatto di spietata concorrenza e selezioni di individui: che senso ha votare?
Alcuni si definiscono di destra per il fatto di opporsi a questo, e perciò si dichiarano sovranisti.
Nei fatti sono identici all’altra metà del mondo liberale, quello sinistro che almeno ha la decenza di definirsi atlantista, europeista ma non arzigogolando. Ogni ricetta politica è fallace, poiché il sistema liberale è strutturato sulla subordinazione del politico all’economico, del monopolio e del ciclico fallimento. Tutto fondato sul principio della moneta a debito; per ogni banconota o bit elettronico emesso dalle banche centrali, che tra l’altro non appartengono più ai governi nazionali, viene emesso automaticamente l’identico valore in negativo; in pratica chi ne entra in possesso è costretto a restituirla, ma con interesse.
Lampante sistema per comprendere che il liberalismo rende ancor più ricco chi lo è già. E soprattutto, perché uno stato sovrano dovrebbe “campare” con soldi creati dal nulla da entità private, le quali saranno sempre vincitrici in questo gioco; perché nessuno potrà mai restituire l’intero interesse, semplicemente perché il capitale ricevuto è ovviamente inferiore. Perciò lo Stato, per poter pagare il vecchio finanziamento, compreso degli interessi, sarà costretto a emettere altri buoni del tesoro sperando che banche e privati, e la stessa BCE, acquistino all’asta.
Il risultato finale comunque non cambia: in buona sostanza lo Stato sarà eternamente indebitato. Intanto abbiamo visto i giganti della vendita con corrieri come abbiano triplicato le loro ricchezze nei due anni di pandemia, a scapito della prossimità e del kilometro zero che semplicemente abbassa la saracinesca. Resta disponibile quella produzione locale, risicatissima e di alto livello, dai costi esorbitanti e perciò appannaggio della upper-class residente nelle ZTL dei grandi centri urbani dell’occidente, e che voterà sempre la stessa melassa; nelle periferie i “povery” restano “liberi” di continuare la lotta, in pieno stile darwiniano, tra autoctoni e immigrati. E poi parlano ancora di cittadini ed elezioni, di politica e altre cose del genere…
Tratto da:Onda Lucana®by Ivan Larotonda
Si ringrazia l’autore per la cortese concessione. Immagine di copertina tratta da Web.
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