L’ultimo depositario della musica popolare. Luigi Milano: l’arpista di Moliterno.
Io l’ho conosciuto quand’ero ragazzino. Spesso suonava con mio padre Augusto, che è venuto a mancare nel gennaio del 2000. Mio padre suonava, come Luigino. Era suonatore ad orecchio. Suonava la fisarmonica ed ogni tanto con altri musicanti suonava nelle feste, ma non ai matrimoni. Fu proprio il rispetto e l’affetto che nutriva nei confronti di mio padre che il maestro Milano accettò, insieme al fratello flautista Nicola Milano, il mio invito al primo concerto di presentazione del mio progetto Ethnos Musica Antica di Basilicata nel 2003 al Cineteatro Eden di Villa d’Agri.

Ricordo che, durante l’incontro nel suo negozio di oreficeria, mi disse queste testuali parole: – Per rispetto della buonanima di Augusto, veniamo al concerto sia io che mio fratello Nicola. Da una quindicina di anni non suoniamo più in pubblico. E’ il primo invito serio dopo tanti anni. Se fosse venuto un altro scalzacani, ti posso assicurare che avremmo rifiutato. Ormai, noi siamo anziani e non abbiamo più l’età per fare queste cose -. Il debutto avvenne il 12 dicembre del 2003. Conservo gelosamente il video di questi due grandi personaggi della musica di Moliterno e della Valle dell’Agri. Fu l’ultima loro esibizione insieme. L’anno dopo il maestro Nicola Milano, soprannominato “Giallamone”, morì portando con sé il suo flauto traverso.
Il “Maestro”, come lo amava definire il fratello, se ne andò subito dopo la loro performance, con mio grande dispiacere. Mi rimane solo quel video nel mio archivio privato ed il ricordo di quella serata uggiosa ma densa di emozioni nel bel mezzo della nostra Valle dei fratelli Milano, persone genuine e tanto tanto serie, senza fronzoli e sempre impeccabili nel loro modo di vivere.
Li ringrazio per tutto quello che mi hanno donato: verità e chiarezza d’intenti, proprio come la buonanima di mio padre.
Ho avuto modo di incontrare più di una volta Luigino Milano. In uno dei nostri incontri si é soffermato sulla sua vita.

(Foto Archivio Milano)
Ecco il suo racconto.
- Si partiva presto la mattina. Erano tante le case che dovevamo girare per le novene di Natale. Con l’arpa a spalla, insieme ai miei fratelli e agli amici, con sole, acqua, vento e neve, giravamo tutto il paese di casa in casa, suonavamo e cantavamo l’antica novena in dialetto moliternese. Io volevo frequentare il Conservatorio di Napoli – ma… per motivi d’Epoca – cosi li chiama gli eventi bellici della seconda guerra mondiale – ho dovuto rinunciare ai miei sogni. Insieme ai miei, la guerra aveva infranto tutti i sogni dei ragazzi di quel periodo, compresi quelli di tuo padre, che avrebbe voluto frequentare il liceo per poi diventare professore.

Anche tuo padre era suonatore ad orecchio e grande appassionato di musica popolare. Diverse volte avevo suonato insieme a lui con la fisarmonica e con un fratello di tua madre, zio Giovanni Albini. Tuo zio era un ottimo cantante, intonato e simpatico, sempre allegro e scherzoso. Ne abbiamo fatte di serenate insieme. Dopo la guerra, vi era una situazione terribile, mancava tutto e a mala pena si poteva mangiare. Mia madre mi dava una sacca per andare a prendere la farina al mulino. Era preziosa quella farina. Con quella potevamo assicurarci da mangiare per un bel po’-.

(Foto Luigi Milano)
II Milano improvvisamente si rabbuia nel viso, cambia subito discorso e inizia: – La buonanima di mio nonno (acquisito perché convolato in seconde nozze con mia nonna) io lo chiamavo Papà la Chiazza, perché abitava in piazza a Moliterno, m’insegnò a suonare l’arpa. Mio nonno era nato il primo ottobre del 1857 e morì il 27 febbraio 1943. Era stato molte volte a Napoli e a Capri, dove aveva appreso a fare il calzolaio e lì aveva perfezionato l’uso dell’arpa. Io, dopo la scuola e subito dopo pranzo, scappavo da mio nonno, avanti negli anni, che m’impartiva lezioni di musica, anche se era allettato. Mi ricordo che salivo su uno sgabello per arrivare ad accordare l’arpa. Mio nonno, a seconda se dovevo salire e scendere di tono, m’indicava se stringere o allentare con la chiave per l’accordatura. Fu cosi che dopo un po’ di tempo imparai da solo ad accordare lo strumento. Tantissime furono le suonate che mio nonno m’insegnò, molte erano popolari, tipo i “Tarasconi” – in gergo moliternese si chiamavano le polke – poi quadriglie, mazurke, onestep.

(Foto Luigi Milano)
Più in là incominciò l’insegnamento di arie d’opera e il grande repertorio della canzone napoletana. Appresi da lui le suonate devozionali, quelle dedicate al culto mariano della Madonna del Sacro Monte e, addirittura, le tipiche canzoni a morto suonate con l’arpa appresso ai funerali (di questo particolare repertorio resta solo un brano suonato da Rocco Rossetti di Corleto Perticara). Seguirono le suonate dedicate a S. Lucia e al Natale, sempre in dialetto moliternese. Queste servivano per raccogliere un po’ di soldini insieme ai miei due fratelli Francesco e Nicola Milano. Francesco suonava il sax e Nicola il flauto. Adesso è da un po’ di anni che non sono più tra noi. Prima della partenza per l’America, decisi di portare la mia arpicedda da un mio amico di Spinoso, tale Arturo Infantino, suonatore d’arpa, ma soprattutto mandolinista. Bravissima persona e tanto affezionata a me. Infantino mi disse: – Parti tranquillo. L’arpa la terrò con me e cercherò di farla suonare. La tua arpicedda sarà in buone mani e cercherò di tenerla come se fosse mia, così al tuo ritorno la ritroverai perfettamente intonata e in buone condizioni -.

(Foto Archivio Accinni)
Di Arturo mi fidavo.
Il giorno dopo mi recai a Spinoso e gliela portai. Dopo, tra una chiacchierata e i saluti, decidemmo di farci un’ultima suonata. Nel frattempo pensavo tra me e me: “Chissà quando l’avrei di nuovo toccata la mia arpa!” In quel periodo tanti eravamo quelli costretti ad emigrare per cercare un po’ di fortuna nel nuovo mondo e tutti con il desiderio di ritornare un po’ più ricchi e contenti….Rimasi in America, a Panama per l’esattezza, per diversi anni. La cosa che più mi mancava era la mia musica e soprattutto la mia arpa. In America c’erano tante orchestrine di suonatori di parecchie parti d’Italia e anche d’Europa: Napoletani, Abruzzesi, Chiavarini, Genovesi, Siciliani, ma il mio repertorio mi mancava. Noi Lucani eravamo diversi sia come approccio che come musicalità.
Forse era stata la grande esperienza e passione dei girovaghi viggianesi e lucani che aveva dato al repertorio dell’arpa una marcia in più. L’andamento più delicato ed il suono dell’arpicedda davano alla musica una rara magia. Ecco perché anticamente, intorno alla metà dell’Ottocento, si diceva che i musicanti lucani erano una specie di collante tra le classi sociali.
Dove si udiva un po’ di musica nei paesi e nelle città, tutti riconoscevano i Viggianesi e, quindi, o vicino ad un’edicola votiva o davanti ad una chiesa o in un’osteria, tutti i presenti ballavano e cantavano entusiasti e felici.
Tanti sono i ritratti che ripropongono nelle capitali italiane ed europee questi episodi con zampogne, flauti, ciaramelle, triangoli, arpicelle portative, con adulti e bambini; alcuni portano addirittura l’appellativo di provenienza, ”I Viggianesi”.
Teresa Armenti, Adamo De Stefano, Graziano Accinni
Stralcio documento tratto dalla storia di Luigi Milano da Lui raccontata a Graziano Accinni, anteprima della uscita del nuovo testo sulla vita del noto concertista lucano, con la collaborazione di: Teresa Armenti, Adamo De Stefano.
Fonte: Graziano Accinni
Tratto da: Onda Lucana® Press
Si ringrazia Graziano Accinni per la concessione del testo e del materiale media.
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