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L’UOMO DI PIETRA

Tratto da:Onda Lucana® by Angelo Ivan Leone-Docente di storia e filosofia presso Miur

Un uomo dal volto duro come una pietra. E dietro… mille misteri. L’anima dura del partito e il costante aiuto, oltre che legame con la casa madre di Mosca, ecco come si può sintetizzare la figura di Armando Cossutta, eppure in questo uomo si può leggere la tragica storia, la vera storia, oserei dire, di quello che fu il PCI. Duro come una falange macedone, specie se lo si guardava in apparenza, eppure con costanti scosse telluriche, lotte intestine e veri e propri odii fraterni, ergo inestinguibili, tra quelli che si chiamavano tutti “compagni”.

Dopo la fine della dogmatica presidenza togliattiana queste anime erano già tutte presenti in seno al PCI e con la segreteria di intermezzo affidata a Pietro Longo non fecero altro che accrescersi e misurarsi dentro il partito, così da emergere chiaramente proprio con Berlinguer, malgrado o, forse, proprio perché con il segretario sardo il PCI raggiunse il suo massimo storico dei voti nelle elezioni politiche del 1976. Quelle che passarono alla storia come le elezioni del temuto “sorpasso” in cui l’immortale Indro Montanelli ebbe il coraggio di dire e dichiarare dalle colonne del suo Giornale “turatevi il naso e votate DC”. Dopo, avvenne quel che avvenne e che tutti sappiamo: la politica del compromesso storico e la perdita costante anche se lenta della carica dirompente del PCI nell’ambito della politica italiana e, quando il PCI non servì più a fare da croce rossa (mai colore fu più indovinato!) la DC, naturalmente e come era ovvio che fosse, lo scaricò bellamente.

Eppure Berlinguer proseguì la sua politica di emancipazione dalla casa madre e a sbarrargli la strada fu proprio lui: l’Armandone nazionale, anzi, l’homo sovieticus, che ebbe il coraggio di chiamare “strappo” l’evoluzione politica della posizione del segretario del proprio partito. E questo non era davvero poco, specie ove si pensi che il PCI quando buttava fuori dal partito l’eretico, e l’eretico era naturalmente colui il quale aveva non capito il messaggio del compagno-segretario, lo faceva finire parecchio male: in Italia al Manifesto, come Lucio Magri e gli altri pochi sognatori come lui, mentre in URSS e, in generale, in tutto il blocco sovietico, all’eretico, quasi sempre, si apriva la strada dei gulag.

Eppure fu proprio in forza di questo immane grande fratello moscovita che Cossutta poté osare contraddire la linea del segretario più amato e vittorioso del PCI, senza fare la fine di nessun eretico, né di quello italiano, né, men che mai, naturalmente, di quello sovietico. Questo perché Cossutta fu nella sua vita tutto tranne che un eretico, anzi, fu l’incarnazione più piena dell’ortodossia del partito e di quel partito: grigio, vetusto, tetro, duro e spietato. Quel partito che, forse, fu davvero l’ultimo e unico sussulto di rivoluzione in questo Paese che è allergico alle rivoluzioni proprio per costituzione, anzi, per Costituzione.

Sul finire della sua vita politica volle confermare quanto fosse rimasto fedele all’ortodossia del partito rompendo con quella macchietta rivoluzionaria di Bertinotti e fondando, pro domo sua, un nuovo partito: i Comunisti Italiani che già dal nome avevano stabilito tutto un programma, infatti si era prima di tutto Comunisti, poi, se capitava, si era anche italiani. Ruppe con Bertinotti per dare ragione al compagno D’Alema che bombardava l’ultimo avamposto con la stella rossa dei balcani, ossia la Serbia di Milosevic, che si opponeva da sola contro il mondo intero a guida stelle e strisce, affinché non avvenisse lo smembramento di quello che era stato il cuore dello stato serbo ossia il Kosovo, dove si combattè la leggendaria battaglia della “piana dei merli”, dalla madrepatria.

Quanto sarebbe stato bello se a questo spettacolo, dove i nemici di ieri erano diventati gli amici di oggi, avesse potuto assistere il grande Enrico e lo stesso Breznev…

Tratto da:Onda Lucana® by Angelo Ivan Leone-Docente di storia e filosofia presso Miur