Strazzi antichi e nuovi.

Tratto da:Onda Lucana®by Ivan Larotonda

La festa più spettacolare di Basilicata ritorna anche quest’anno, il 2 luglio si ripete il rito dello strazzo del carro della Vergine detta, in quel di Matera, della Bruna. Il perché dell’azione distruttiva di un qualcosa che rientra nel sacro ha molte spiegazioni, come piace agli accademici che si divertono a dirla meglio e più dei loro colleghi, quasi fosse una sfida agli altri piuttosto che all’argomento stesso.

Si potrebbe dire che sia il ricordo del sacrificio, appunto distruzione di un essere o simulacro di esso: magari collegato ai riti agricoli delle grandi madri mediterranee su cui si è innestato, come un po’ dappertutto, il culto Mariano. Quel che è certa è la sua insolita tradizione radicatasi in secoli, e non è escluso che si tratti della perpetuazione fattuale di un episodio accaduto in tempi da guelfi e ghibellini, o semplici beghe campanilistiche.

Parlare dell’origine di questo particolarissimo, direi unico, rito dello strazzo non è comunque al centro di questa riflessione, quel che conta è la sua perpetuazione: che la festa continui, come si dice in questi casi. Che il 2 luglio di ogni anno i materani compiano quel gesto, sia pur al limite della bizzarria, ma di fede cosiddetta popolare.

Al cuore dell’argomento quivi in esame sta però un paragone che s’attaglia coi tempi in cui viviamo, che gli induisti chiamano di kali yuga: l’ultima era, quella della decadenza finale (prima della palingenesi?). Per cui, agli strazzi rituali e di fede nel metafisico s’accompagnano altri tipi di devastazioni e sono i seguenti: In questi giorni assistiamo alla devastazione della civiltà francese, una grande nazione che si sta estinguendo come, tra l’altro, il resto dell’Occidente. Torme (e come chiamarle sennò?) di ragazzi: figli, nipoti, pronipoti di persone provenienti dall’Africa trovano ogni scusa pur di scendere in guerra contro i bianchi; ebbene sì, questo è il livello, l’odio è etnico, tribale e ancestrale.

Sul piano costituzionale invece, semplicemente, non si riconoscono nei valori della Republique; si sentono come corpo estraneo, e le motivazioni non risiedono in un’altra fede, la Francia non ne riconosce nessuna che possa paragonarsi allo Stato (è questo che si percepisce come religione civica!), né tanto meno i rivoltosi ne rivendicano una come prioritaria. E non è nemmeno la disoccupazione a spingere i giovani maghrebini a compiere gli “strazzi” di veicoli pubblici o privati; anche perché la Francia, storicamente, quando è in crisi viene a saccheggiare in Italia: una volta le opere d’arte, poi le aziende, l’oro, i lavoratori, i prodotti agricoli e industriali… e così risolve i suoi problemi economici.

Ora, senz’ombra di dubbio non siamo in presenza di spinte trascendentali, anche se chi li fomenta vorrebbe che si tramutassero in tali, quel che registriamo e che possiamo descrivere come movente di queste azioni violente, è il tribalismo: la fine dei tempi coincide comunque con un nuovo inizio. Per cui siamo in presenza di un ritorno all’età barbarica, a sua volta simile a quella del trogloditismo pleistocenico. Ne “Il Tramonto dell’Occidente” Oswald Spengler indicò il progresso come causa della decadenza euroamericana, ossia tutto quel processo di accelerazione messo in moto dagli ambienti illuministi dei secoli XVII-XVIII (e la Francia era l’epicentro di questo). La spinta ad andare avanti aveva reso non solo superfluo il passato, ma addirittura lo vide come una palla legata alla zampa del meraviglioso destriero lanciato a tutta corsa verso il radioso futuro.

Il paradigma con la tradizione materana dello strazzo è tutto qui. Nella splendida città lucana si tramanda un rito, violento nella forma non certo nella sostanza: è la fede in una ciclicità, del tempo e del ritorno a Dio da cui provengono gli esseri. I lucani sanno di appartenere ad una tradizione, vengono da punti fermi, le radici sono salde e la devastazione che compiono del carro cementa e rinnova il popolo, lo rigenera. “Populus” vuol dire devastatore, ed eccoli i “populatori”, come i loro padri, nonni, bisnonni e giù fino alla radice della comunità.

I devastatori francofoni invece sono nichilisti perché vivono in società lineari, progressiste! Lanciate in avanti senza più passato non hanno una ragione comune per cui vivere insieme. Mentre il materano sa che troverà l’amico d’infanzia al bar, con lui studierà la strategia per acciuffare l’angioletto di carta pesta del carro, e magari entrambi si rifaranno, per la tattica, a stratagemmi usati dai loro padri. Non è violenza fine a se stessa, è devozione, è rinsaldare la cittadinanza. La religio tiene insieme i popoli, cantare la marsigliese va bene allo stadio, ma dietro ci dev’essere un popolo con le casacche bleu e questo non c’è più, s’è perso nelle “Magnifiche sorti e progressive”.

Tratto da:Onda Lucana®by Ivan Larotonda

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